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Podcast af Fabio Ciarla - Enoagricola

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21 episoder
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Monti Cecubi, Albamarina e Vini Monti: la Degustazione Partecipata si fa in tre!

Da anomala, per la seconda volta, è diventata “normale” la Degustazione Partecipata con più aziende. Se all’inizio era una sola quella coinvolta, nell’ultima sono diventate due e in questa addirittura tre (ma non salirò ancora). In questo caso siamo partiti dal mio Lazio, passando per la Campania fino ad arrivare all’Abruzzo. Quali le cantine interessate? Per la mia regione http://www.monticecubi.it/, azienda interessante per il suo lavoro di riscoperta di antichi vitigni autoctoni – l’Abbuoto su tutti – e per la bellezza del posto, tra Itri e Sperlonga. La seconda è http://fattorialbamarina.com/web/, siamo in Cilento e ho avuto la fortuna di fare un breve viaggio in quella splendida terra a settembre 2019, un Fiano e un Aglianico leggermente fuori dalle aspettative (per fortuna) grazie ad un territorio diverso da quelli più noti. Infine l’Abruzzo, terra di Montepulciano, sicuramente, ma anche di vini bianchi di genuina beva, come il Pecorino e il Controguerra Doc (uvaggio) con l’azienda  https://www.vinimonti.it/it/ . Un gruppo di vini assaggiato da un gruppo di esperti nuovo, come nuova era la location. Niente casa, siamo stati ospiti dell’amica Francesca Bueti che a Lariano, sempre in provincia di Roma, gestisce il bar-enoteca “RCaffè” (grazie Francesca!). Nel complesso un’altra bella serata di conoscenza e scambi di opinione, con alcune divergenze e una netta sensazione che alcuni vini siano stati penalizzati dal poco “riposo” dopo il trasferimento (per la prossima bisognerà stare più attenti). Di seguito il racconto dei vini degustati, con i consueti voti, e in fondo una breve scheda delle tre aziende per chi volesse approfondire   Il panel Enoagricola: Fabio Ciarla Francesca: neo-sommelier Fisar Simona: sommelier Fisar Leonardo: sommelier e relatore Fisar Paolo: sommelier Fisar   I vini (anche se li abbiamo degustati nella corretta sequenza ho preferito presentarli divisi per azienda):   Monti Cecubi Thymos 2018 – IGT Lazio Bianco 2018 Amyclano 2018 – IGT Lazio Vermentino 2018   Vini Monti Raggio di Luna – Controguerra DOC 2018 VIR – Controguerra DOC Pecorino 2018 Senior – Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane DOCG Riserva 2010 Pignotto – Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane DOCG Riserva 2010   Fattoria Albamarina Valmezzana – Fiano del Cilento DOP 2016 Futos – Paestum IGT Aglianico 2016   Monti Cecubi / Thymos 2018 – IGT Lazio Bianco 2018 Uva base è la Falanghina, che in questa zona dell’estremo sud laziale sembra congiungersi con le espressioni campane. Questo vino si presenta vivace, di beve bene ed è piacevole, riuscendo a coniugare le sensazioni calde con quelle più fresche. Enoagricola: 88/100 Francesca: 88 Simona: 88 Leonardo: 89 Paolo: 89   Monti Cecubi / Amyclano 2018 – IGT Lazio Vermentino 2018 Dopo il Thymos sem

07. feb. 2020 - 6 min
episode Top 20 Enoagricola 2019 (+1). La lista dei migliori assaggi e un auspicio per il 2020! artwork
Top 20 Enoagricola 2019 (+1). La lista dei migliori assaggi e un auspicio per il 2020!

E anche quest’anno ci siamo, il 31 dicembre si avvicina ed è tempo di bilanci. Già il numero, lo scorso anno eravamo quasi a 30, la dice lunga su che tipo di periodo è stato. Non è che non abbia trovato buoni vini, il problema è che, contrariamente a quello che sembra, ho girato e assaggiato meno del consueto. Anche perché, lo ripeto, personalmente non sono un assaggiatore da fiera, non riesco a concentrarmi al banco d’assaggio e ho bisogno invece di tempo e calma per riflettere. Per fortuna quest’anno sono riuscito a ritagliarmi diverse occasioni utili al Vinitaly, una fiera che è così ricca di occasioni da dover essere affrontata al meglio, il consiglio utile è quindi di leggere bene i programmi e prenotare gli appuntamenti migliori! Eccovi dunque la lista dei migliori assaggi di questo 2019, con alcune conferme e tante novità. E la promessa, soprattutto, di bere di più il prossimo anno! Soprattutto vini non italiani, comincerei da un approfondimento sull’Europa diciamo, poi spazio a tutti ovviamente. Intanto, un po’ per caso e un po’ no, già in questa selezione ci sono due grandi vini della Mosella… A conferma, se ce ne fosse bisogno, che il sottoscritto ama i grandi bianchi da invecchiamento (Grechetto compreso). E poi c’è il +1, un vino sì, ma “speciale”! Buona lettura e buon 2020 a tutti!   Georges Lelektsoglou – Vieilles Vignes de Gervans Crozes-Hermitage 2015 Dalla Francia un Syrah di grande compattezza, frutto intenso, ricco al naso e poi al palato. Coerente e complesso, un bel vino pieno di spunti e di cose da dire nei prossimi anni. Bere o tenere: tenere   Elena Fucci – Titolo 20th anniversary 2017 Splendido nella sua iniziale rotondità, frutto di una selezione nelle vigne più vecchie dell’azienda e un affinamento in tonneaux che lascia una bella impronta. Sembra più pronto del suo omologo, tuttavia l’eleganza e la potenza che esprime fanno presupporre una piacevolezza che andrà a crescere. Chiedersi se sia il miglior “Titolo” in circolazione non ha senso, intanto godetevelo che è meglio. Bere o tenere: tenere   Scala – Cirò Rosso Classico Superiore 2013 Bellissima sorpresa, anche perché non sono un esperto di vini calabresi. Si presenta con un naso ricco e molto interessante, una successione di sentori netti di liquirizia insieme a frutta rossa, resina, boisé e note ematiche. Al palato è morbido ma equilibrato, persistente e piacevole. Bere o tenere: bere (è perfetto ora)   Gancia – Cuvée 60 mesi Alta Langa Brut Metodo Classico 2010 Gran bel Metodo Classico, ricco ed elegante, uno spumante che riesce a dare tanto sia al naso che al palato. Il packaging è di impatto e molto elegante ma aggiunge qualcosa ad una sostanza ben delineata e importante. Felice di rivedere ad alti livelli un’azienda che ultimamente si era fatta vedere solo per i prodotti di fascia bassa (e ci voleva un russo per risollevarla!). Bere o tenere: bere   Carpineto – Vino Nobile di Montepulciano Riserva 2013 Ancora una volta Carpineto entra in classifica, merito anche dalla fortuna di poter assaggiare ogni anno quasi tutta la loro produzione, nonché alcune “chicche” (come nella degustazione Fisar Roma di fine dicembre). Questo Vino Nobile del 2013, 11esimo nella Top 100 Wine Spectator, si presenta con un naso ampio di ciliegia e prugna, ma anche spezie dolci. Al palato è ovviamente lungo ed equilibrato, si beve bene e dà tanto anche nel finale. Davvero di classe… Bere o tenere: bere   Clemens Busch – Marienburg “Fahrlay-Terrassen” 2016

30. dec. 2019 - 12 min
episode Alla ricerca della (definizione di) qualità nel vino. Il lunedì 3D di Trimani tra degustazioni e dibattiti artwork
Alla ricerca della (definizione di) qualità nel vino. Il lunedì 3D di Trimani tra degustazioni e dibattiti

L’obiettivo era ovviamente molto ambizioso, ma almeno si guardava oltre. Il lunedì 3D di Trimani, la storica rivendita di via Goito a Roma divenuta ormai qualcosa di più tra distribuzione e wine bar, è iniziato infatti con il dibattito “Elaborare una definizione contemporanea di qualità per il vino, una discussione dopo le guide”. Nell’auditorium dello spazio WeGil sono saliti sul palco Paolo Trimani a fare da conduttore, insieme a Paula Prandini e Fabrizio Pagliardi per il “mercato”, Federico Staderini e Daniele Proietti per la “produzione”. Tra provocazioni e approfondimenti il discorso è virato subito sul fenomeno del “naturale”, con tutto quello che ad esso è collegato. Se da una parte si considera già il movimento come un qualcosa di “ finito ” (Prandini), per colpa di chi ci si è infilato maldestramente, che si tratti dell’industria o di alcuni produttori improvvisati, dall’altra si è tornati al problema centrale della mancanza di definizioni, parametri, cornici normative. Trattandosi di “movimento” è normale che non sia facilmente classificabile in rigide norme, il problema è appunto capire come però identificare cosa ne fa parte e cosa no. Qualcosa di non poco conto, soprattutto partendo dal dato citato, per esperienza diretta, da Pagliardi: “ Gli under 35 bevono praticamente solo naturale, così come gli appassionati del nord Europa. Forse anche perché a differenza degli anni 90, quando nel mondo patinato del vino c’erano delle elite e dei vini normali, nel mondo naturale questa differenza non c’è. Si parla di vini interessanti, da bere, mentre qui per lungo tempo il vino è stato qualcosa di elitario “. Per Staderini si deve tornare al concetto di onestà, i suoi esempi hanno citato la “disciplina interna e interiore” di personaggi come Mario Incisa della Rocchetta o Emidio Pepe, concludendo: “ chi fa le cose per bene e con onestà lo può con fierezza rappresentare “. Per Proietti il problema nasce proprio dalla presunta necessità di definizioni precise, così come il dibattito sulla questione etica: “ in fondo alcuni regolamenti sono nati proprio per far emergere alcune scorciatoie “. Paula Prandini segna infine la visione che forse potremmo definire più ideologia: “ è impossibile tracciare limiti etici o disciplinari, parliamo di un movimento di avanguardia e rivoluzione, siamo comunque andati avanti. L’unico modo di comunicare per i produttori è tramite il proprio lavoro “. E qui torna lo snodo cruciale, ovvero come comunicare qualcosa che non ha cornici ma solo tanti singoli punti? Nel dibattito la questione è stata risolta segnalando come la stampa classica abbia sempre visto come qualcosa di negativo il mondo naturale – e può essere vero – e come ci sia stata molta confusione per esempio nella gestione di termini, e regolamenti, legati a pratiche come quelle biologiche da una parte e biodinamiche dall’altra. In realtà Fabrizio Pagliardi ha anche ribadito come sia necessaria una maggiore formazione del personale addetto al servizio del vino, per lui la base di partenza devono continuare ad essere i corsi, in particolare quelli da sommelier, strutturati secondo gli schemi classici: “ importante e fondamentale è imparare il linguaggio base, per poi magari spingersi verso il naturale. Io non ho creato la cantina del mio locale pensando di voler vendere vino naturale, ho cominciato a scegliere quello che mi piaceva e alla fine mi sono accorto che avevo quasi tutti vini naturali “. Tranne un intervento dal pubblico dal sapore di conventicola del tipo “io c’ero prima e quindi sono io che stabilisco chi può parlare e chi no“, il dibattito

04. nov. 2019 - 6 min
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Elogio della mezza bottiglia (Reloaded)

“Elogio della mezza bottiglia” è il titolo di un post che ho scritto su https://www.vinix.com/ a febbraio del 2011, questa estate mi sono trovato a fare più o meno le stesse considerazioni e quindi – prendendo in prestito ad Angelo Peretti il suo “ Reloaded ” per alcuni pezzi di http://internetgourmet.it/ – mi è sembrato utile riproporle. O rivederle in alcuni passaggi. Tutto nasce da una domenica di quelle in cui, senza figli o impegni particolari (all’epoca) si poteva addirittura andare a seguire le amiche pallavoliste in trasferta. Sabaudia, posto di mare, a gennaio non è che sia proprio il regno della movida, ma il ristorante era comunque di ottimo livello. Nel post scrivevo: Il pranzo vero e proprio sarà oggetto di recensione ristorante a breve (il posto merita) ma intanto parto con il mio elogio. La signora non si è sperticata a spiegare quante “mezze” avesse, anzi ha fatto solo la differenza tra pinot grigio (di chi?) e “vino locale”. Non avendo una grande voglia di bere o degustare ci siamo buttati sul “vino locale” che non era un “vino della casa” ma un Satrico di https://www.casaledelgiglio.it/ (proveniente quindi da un territorio “locale” in quanto molto vicino). L’azienda tra l’altro nel suo sito non sponsorizza il formato, anzi non ne dà affatto conto mi pare e forse è un peccato. Al di là della degustazione di un vino, comunque buono che ha accompagnato bene il menù di pesce, voglio soffermarmi sul piacere di ordinare una bottiglia, berla tutta in due e accompagnare alla piacevolezza del pranzo completo la sensazione di non rischiare multa salata e soprattutto ritiro della patente… Insomma, tra le tante alternative che ha il mondo del vino a disposizione per ripartire, io non disdegnerei la mezza bottiglia, anzi la elogio! Si pongono una serie di problemi di ricarichi (a noi è andata benino tutto sommato) e di logistica, ma certo anche il poter ordinare in due qualcosa che sta sotto i 10 euro senza quindi appesantire troppo il conto finale potrebbe essere un bel vantaggio. Io l’ho buttata lì, chissà che qualcun’altro non mi segua nell’elogio? Non mi pare che altri mi abbiano seguito, sarà solo una mia sensazione quella che – se si è in due – la mezza bottiglia è il formato ideale? Soprattutto per evitare di buttarsi sul “vino della casa” in quartini, spesso alla spina e quasi sempre di scarsa qualità. Ovviamente dove non è presente un buon servizio al bicchiere (ovvero la quasi totalità dei ristoranti di fascia media). Ecco, lo stesso ragionamento – come dicevo in apertura – l’ho fatto questa estate. Cena di pesce sul lungomare, questa volta con due figli al seguito (il tempo passa) e come mezzo di locomozione la bicicletta (con seggiolino per il secondogenito). Insomma una situazione nella quale una bottiglia sarebbe stata decisamente troppa, il vino alla spina avrei voluto evitarlo e così, quando il cameriere mi ha proposto la mezza bottiglia di Castore della http://www.cincinnato.it/ ho detto subito sì. Tra l’altro è uno dei miei bianchi leggeri preferiti, uve bellone in purezza delle colline di Cori, fresco e immediato, molto piacevole. Servito ben freddo nonostante fossimo in una pescheria/friggitoria, quindi con servizio molto spartano, e goduto dalla prima all’ultima goccia, senza paura di sbandare alla guida della due ruote e riportando sano e salvo anche il passeggero appena treenne. Insomma, confermo l’elogio della mezza bottiglia. Tra le tante soluzioni per incentivare il consumo di vino fuori casa mi sembr

06. sep. 2019 - 4 min
episode CHALLENGE INTERNAZIONALE EUPOSIA – A ORVIETO LA 12esima EDIZIONE DELL’UNICO CONCORSO AL MONDO RISERVATO AGLI SPUMANTI METODO CLASSICO E CHAMPAGNE artwork
CHALLENGE INTERNAZIONALE EUPOSIA – A ORVIETO LA 12esima EDIZIONE DELL’UNICO CONCORSO AL MONDO RISERVATO AGLI SPUMANTI METODO CLASSICO E CHAMPAGNE

Max Gazzé cantava “chi si innamora non deve dirlo a nessuno” ma io questa volta faccio un’eccezione e vi racconto di come mi sono innamorato del Tai Rosso dei Colli Berici. L’occasione è un tour su e giù nell’area collinare compresa tra Monti Lessini, Gambellara e Colli Euganei; una zona di leggeri declivi con un microclima unico per il Veneto, dove trovano naturale benevola accoglienza le uve rosse, grazie a un misto di suoli sedimentari e vulcanici e temperature non proprio nordiche. Scendendo verso sud da Vicenza, non prima di aver ammirato la Basilica Palladiana, entriamo in un territorio che vanta ben due primati: la prima Doc Cabernet Franc e la prima Doc Pinot Grigio d’Italia. In realtà si tratta di due Denominazioni distinte, Colli Berici la prima e Vicenza la seconda, dal 2011 però sono entrambe coordinate e gestite da un Consorzio unico, che ha preso il nome di “Vini Colli Berici Vicenza”. Concentrandoci sui Colli Berici, anche i dati confermano la supremazia dei vini rossi, che sono circa i due terzi del totale, con più di 1,7 milioni di bottiglie messe in commercio nel 2016 (525 mila invece quelle della Doc Vicenza). Le uve più diffuse sono il Merlot, seguito dal Cabernet Sauvignon e appunto dal Tai Rosso, vitigno autoctono (crasi del nome storico, non più utilizzabile, “Tocai”) ma geneticamente simile al Cannonau sardo così come alla Grenache francese e alla Garnacha spagnola. Tanto che le aziende dell’area partecipano attivamente al concorso “Grenaches du Monde” conquistando spesso e volentieri premi importanti. Perché mi sono innamorato del Tai Rosso? Perché è un vitigno dal quale si possono ottenere vini diversi ma sempre molto espressivi. La versione tradizionale prevede una raccolta quasi anticipata sulla reale maturazione fenolica, così da dare vini giocati sull’acidità e sulla freschezza piuttosto che sulla concentrazione. Anche il colore ne risente, tanto che non è raro trovare Tai Rosso d’annata quasi color ciliegia, non proprio rosati ma quasi. Si tratta delle versioni forse più tradizionali, quelle – per capirci – che in zona accompagnano da sempre la Sopressa Vicentina DOP e il baccalà alla vicentina. Ma il Tai è capace, appunto, di fare anche qualcosa di più. Lavorato adeguatamente fin dalla vigna, scegliendo magari i suoli calcarei e meglio esposti, si può concentrare e far maturare, ottenendo alla fine un grande rosso da affinamento. In questo caso l’abbinamento diventa più classico, con le carni a lunga cottura, che sposano bene il frutto maturo che rimane una cifra stilistica di questi vini. Insomma il Tai Rosso come il Verdicchio per i bianchi o la Barbera per i rossi, uve in grado di fornire vini freschi da bere giovani ma anche bottiglie da riporre in cantina. In entrambi i casi senza dimenticare l’origine, ma esaltando le differenze che, evidentemente, queste uve si portano dentro fin dalla nascita. Ovviamente i Colli Berici non sono solo Tai Rosso, anzi, ci sono Cabernet e Carmenere che meriterebbero uguale spazio, così come alcuni bianchi. Difficile sintetizzare tutto in un solo racconto, per evitare di annoiarvi mi limito a segnalare le aziende e i Tai Rosso che più mi hanno colpito nel bellissimo tour molto ben curato dal Consorzio e da Studio Cru, vissuto in ottima compagnia (che non fa mai male). <div id="prelo

28. aug. 2019 - 6 min
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