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Vite straordinarie di persone normali che hanno scelto di vivere la vita di tutti i giorni secondo gli insegnamenti del Vangelo
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8331 [https://www.bastabugie.it/8331] LA BAMBINA CHE SALVO' LA MADRE DA UNA VITA DI PECCATO di Marco e Caterina Vinciguerra Laura del Carmen Vicuña Pino nacque a Santiago del Cile il 5 aprile del 1891 da José Domingo, un militare in carriera di nobile famiglia, e da Mercedes Pino, una sarta di umili origini. Nell'anno della sua nascita, in Cile scoppiò una guerra civile e, a causa delle differenti idee politiche, la famiglia Vicuña fu costretta a fuggire verso il sud del paese stabilendosi nel piccolo borgo di Temuco e qui, tra tantissime difficoltà, nacque la sorellina di Laura, Giulia Amanda. Tre anni dopo il papà di Laura morì e la moglie, per le gravi difficoltà economiche, come era usanza comune a quei tempi, decise di andare in Argentina "a cercare fortuna" con le due figlie di 8 e 3 anni. Donna Mercedes aveva un solo desiderio: lavorare per mantenere e dare un futuro alle sue figlie. Per avere un buon tenore di vita e garantire gli studi alle figlie, accettò di convivere con il ricco imprenditore agricolo Manuel Mora. Per questo la famiglia Vicuña andò a vivere in uno dei possedimenti di Mora a Quilquihuè. Nel 1900 Donna Mercedes iscrisse le figlie a Junìn de los Andes in una missione-scuola aperta da poco delle Figlie di Maria Ausiliatrice, il ramo femminile dei Salesiani fondato da San Giovanni Bosco. In collegio Laura, stando con le suore e grazie anche al suo confessore, don Augusto Crestanello, imparò come vivere con Gesù. Da subito si distinse per la volenterosa applicazione nello studio, per la bontà e la generosità nell'aiutare gli altri e per l'intensità della sua vita interiore. L'UNICO SCOPO DELLA SUA VITA Un giorno, ascoltando una lezione di catechismo sul sacramento del Matrimonio, Laura comprese la situazione di peccato nella quale viveva la mamma, capì anche perché durante le vacanze alla fattoria la madre non si accostava ai sacramenti e perché la facesse pregare di nascosto. Da questo momento la salvezza della mamma diventò per Laura l'unico scopo della sua vita: intensificò la preghiera, cercò tutte le occasioni per fare sacrifici a tal punto che per la mamma offrì la sua vita a Dio. Non potendo essere ammessa ufficialmente come postulante delle Figlie di Maria Ausiliatrice a causa della condotta della madre, Laura, nel 1902, a soli 12 anni, fece in forma privata i voti di povertà, castità e obbedienza impegnandosi a ricevere tutti i giorni Gesù nella santa Comunione e a confessarsi frequentemente. Durante le vacanze scolastiche le due sorelle tornavano a casa e Mora, invaghitosi di Laura, più volte cercò di corromperla, ma la ragazza lo respinse sempre. Per vendicarsi, Mora decise di non pagare più la retta del collegio alle due sorelle. Ciò nonostante le due ragazze, per via della loro difficile situazione familiare, furono accolte lo stesso dalla scuola, però non più come semplici scolare ma come interne addette alla casa delle suore con dei compiti da svolgere. In seguito, per aver aiutato le suore a mettere in salvo le compagne di scuola in seguito a una grande inondazione, Laura si ammalò gravemente. UNA VITA OFFERTA Solo sul letto di morte Laura confessò alla madre di aver offerto la propria vita in cambio del suo ritorno alla fede cristiana e le fece promettere di tornare a vivere in grazia di Dio. Laura morì giovanissima il 22 gennaio 1904, non aveva ancora compiuto 13 anni! La mamma mantenne la parola data alla figlia morente: lasciò Mora, dopo essersi confessata. Laura fu beatificata da Giovanni Paolo II il 3 settembre 1988 e la sua salma è venerata nella cappella delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Bahìa Blanca in Argentina. Questa ragazza soltanto in apparenza può sembrare come tante altre ragazze: la sua vita è un esempio di fede incrollabile. È determinata nel suo proposito: «O mio Dio, voglio amarti e servirti per tutta la vita; perciò ti dono la mia anima, il mio cuore, tutto il mio essere. Voglio morire piuttosto che offenderti col peccato». Durante le attività ordinarie Laura diceva: «Per me pregare o lavorare è la medesima cosa; è lo stesso pregare o giocare, pregare o dormire. Facendo quello che mi viene chiesto di fare, compio quello che Dio vuole che io faccia, ed è questo che io voglio fare; questa è la mia migliore preghiera». La sua testimonianza di amore e speranza mostra come la preghiera possa trasformare le difficoltà in opportunità di grazia e insegna a non arrenderci mai. La sua vita ci ricorda che ogni difficoltà può essere affrontata con la fede e che possiamo diventare strumenti di amore e di consolazione per chi ci circonda.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8318 [https://www.bastabugie.it/8318] LA MAMMA NE VOLEVA FARE UNA DIVA, DIO NE HA FATTO UNA SANTA di Gianpiero Pettiti Difficile trovare un ambiente familiare più disastrato di quello toccato ad Eugenia. E se ne parliamo è soltanto per dire, partendo da lei e dall'inaspettato lavoro della Grazia compiuto nella sua persona, che nessuno è autorizzato a disperare, perché Dio lavora anche là dove meno te lo aspetti. Il papà di Eugenia è un valente musicista non vedente, che collabora con "La Scala" di Milano. Mamma è una cantante, la cui bravura è almeno pari alla sua frivolezza. Artisticamente parlando, forma con il marito una coppia perfetta, spesso in tournée, in Italia e all'estero; peccato che, molto più del marito, lei ami la fama, i soldi e il successo, per cui da una di queste tournées in Russia torna da sola, facendo credere a tutti che il marito è morto durante il viaggio. Nessuno della famiglia avrà più notizie di lui e solo molto più tardi si scoprirà che, abbandonato dalla moglie, il celebre musicista non aveva più avuto il coraggio di tornare ed era salpato per l'America insieme ad un'altra donna. Eugenia è perennemente parcheggiata dai nonni e un bel giorno viene "rapita" da mamma e costretta ad andare a vivere a Milano, in casa del suo convivente, lo stesso per il quale aveva lasciato il marito. Cresce bella, intelligente, artisticamente dotata, con mamma che le riversa addosso tutte le frustrazioni per la propria carriera interrotta e sogna per lei un futuro da cantante lirica. Ed intanto ha il suo bel daffare per difendersi dalle continue avances del convivente della madre. Le liti in casa sono all'ordine del giorno ed Eugenia esce esasperata dal clima teso che si respira in famiglia e con il resto della parentela. Neppure nella relazione sentimentale, che intrattiene dall'età di quattordici anni, trova la necessaria serenità ed a volte, al limite della sopportazione, cerca rifugio in chiesa. Un inaspettato momento di luce le arriva sui 19 anni, al culmine dell'ennesima lite familiare, in un momento di preghiera, che è quasi un grido di disperazione, davanti al quadro posto al di sopra del suo letto: quasi una lama di luce che la trapassa e le fa ardentemente desiderare la santità. La sua vita cambia radicalmente e si orienta verso la vocazione religiosa, che la madre ovviamente contrasta con tutte le sue forze: per la ragazza sono mesi di passione, nei quali, oltre alla preghiera, suoi unici appoggi sono le Suore Orsoline dell'oratorio che frequenta, e un sacerdote che queste le fanno conoscere. Se sull'autenticità della sua vocazione nessuno nutre dubbi, più incerta è la scelta della congregazione in cui attuarla. Prudentemente, le Orsoline, troppo vicine alla sua abitazione dove si continua ad avversare il suo ingresso in convento, la dirottano sull'ancor giovane congregazione delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria di Parma. È lo stesso fondatore, don Agostino Chieppi (oggi dichiarato Venerabile), ad accoglierla il 31 agosto 1887, quando lei arriva a Parma dopo essere fuggita di casa con l'aiuto dei parenti di papà. Semplice, umile, fedele e generosa serve la congregazione: prima come insegnante nel Convitto, poi come maestra delle novizie, successivamente in qualità di archivista, di Segretaria generale e di Consigliera. Nel giugno 1911 viene eletta Superiora generale e rimane in carica fino alla morte. Fa voto di compiere con perfezione serena e tranquilla i suoi doveri di Superiora, e i risultati si vedono. Mentre, forse ricordando l'esperienza della sua adolescenza, si preoccupa molto per la formazione della donna e per l'inserimento delle ragazze nel mondo lavorativo, durante la Prima Guerra spalanca le porte della Congregazione per soccorrere i militari e gli orfani dei Caduti. Dalla contemplazione dell'Eucaristia nasce il programma della sua vita di religiosa: "Come Gesù ha scelto il pane, cosa tanto comune, così deve essere la mia vita, comune... accessibile a tutti e, in pari tempo, umile e nascosta, come è il pane"; tre soli i suoi propositi: "purezza per piacere a Gesù, umiltà per me, carità per gli altri". Il suo fisico è minato dalla tisi ossea, con dolori lancinanti in mezzo ai quali continua a sorridere, spiegando che "se Eucarestia significa rendimento di grazie si può ringraziare solo con il sorriso". Subisce l'amputazione di una gamba, ma continua dalla sedia a rotelle il suo generoso servizio di Superiora generale, fino alla morte, che sopraggiunge il 7 settembre 1921, ad appena 54 anni. Il 7 ottobre 2001 Giovanni Paolo II ha beatificato Madre Eugenia Picco, la ragazza che era riuscita a far della sua vita un capolavoro di santità, malgrado la sua famiglia.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8288 [https://www.bastabugie.it/8288] FRASSATI E ACUTIS, INVITO AI GIOVANI A ORIENTARE LA VITA VERSO L'ALTO di Nico Spuntoni 80 mila persone, tante quanto lo stadio Olimpico di Roma pieno. Solo che ieri, nella prima domenica settembrina che però il caldo ha fatto sembrare ancora agostana, a piazza San Pietro non si giocava una partita di cartello ma si celebrava la canonizzazione di due nuovi santi. Nati a 90 anni di distanza l'uno dall'altro, Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis sono stati entrambi elevati agli altari da Leone XIV che dal sagrato ha pronunciato la formula iniziante con «ad honorem Sanctæ et Individuæ Trinitatis, ad exaltationem fidei catholicæ et vitæ christianæ incrementum». Dunque «ad onore della Santissima Trinità per l'esaltazione della fede cattolica e l'incremento della fede cristiana» i due, morti giovani rispettivamente nel 1925 a 24 anni e nel 2006 a 15 anni, sono stati iscritti nell'albo dei santi. Il Papa ha capito che quella di ieri sarebbe stata una giornata destinata a non essere dimenticata e prima di iniziare la Messa l'ha definita a braccio «una festa bellissima per tutta l'Italia, per tutta la Chiesa e per tutto il mondo». Poi ha ricordato che la santità non è un lusso per pochi e che «tutti voi, tutti noi, siamo chiamati anche ad essere santi». Rivolgendosi soprattutto ai numerosi giovani presenti in piazza, Prevost ha detto: «Sentiamo tutti nel cuore la stessa cosa che Pier Giorgio e Carlo hanno vissuto; questo amore per Gesù Cristo, soprattutto nell’Eucaristia, ma anche nei poveri, nei fratelli e nelle sorelle». Nell'omelia il Pontefice li ha descritti come «un giovane dell’inizio del Novecento e un adolescente dei nostri giorni, tutti e due innamorati di Gesù e pronti a donare tutto per Lui». Per Leone la vita di Frassati rappresenta ancora oggi «una luce per la spiritualità laicale». Usando l'esempio del nuovo santo, il Papa è tornato a ripetere un concetto espresso recentemente nel discorso ad una delegazione di politici francesi. «Per lui - ha ricordato Prevost - la fede non è stata una devozione privata: spinto dalla forza del Vangelo e dall’appartenenza alle associazioni ecclesiali, si è impegnato generosamente nella società, ha dato il suo contributo alla vita politica, si è speso con ardore al servizio dei poveri». Uno "schiaffo" a chi si vanta di relegare la propria fede ad una sfera esclusivamente privata, come ad esempio la sindaca di Genova e nuova stella del progressismo italiano Silvia Salis che proprio ieri in un'intervista a La Stampa ci ha tenuto a dichiararsi «cattolica nel privato». Di Acutis, invece, il Papa ha sottolineato l'incontro con Gesù in famiglia e nei sacramenti. L'omelia papale ha ripreso abbondantemente alcune citazioni del ragazzo nato a Londra sul rapporto con l'eucarestia, con buona pace del teologo ultrà bergogliano Andrea Grillo (sconfessato pubblicamente dal suo Pontificio Ateneo Sant’Anselmo per le critiche al nuovo santo). Prevost ha parlato della malattia che ha colpito i due ex beati, ricordando che «nemmeno questo li ha fermati e ha impedito loro di amare, di offrirsi a Dio, di benedirlo e di pregarlo per sé e per tutti». Per il Papa agostiniano «i santi Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis sono un invito rivolto a tutti noi, soprattutto ai giovani, a non sciupare la vita, ma a orientarla verso l’alto e a farne un capolavoro». E sono anche i primi santi del suo pontificato. Una canonizzazione particolare perché al rito hanno partecipato anche i genitori e i fratelli di uno dei due. La famiglia Acutis ha portato i doni dell’offertorio e il fratello Michele, nato quattro anni dopo la morte di Carlo, ha proclamato la prima lettura sul sagrato. Una circostanza che riporta alla memoria il precedente del 24 giugno 1950 quando, tra i 300mila fedeli presenti per la canonizzazione di Maria Goretti, c'erano anche la madre Assunta affacciata da una finestra e i fratelli sul sagrato. Una gioia solamente sfiorata nel Seicento da Marta Tana che poco prima di morire apprese la notizia della prossima beatificazione del figlio Luigi Gonzaga.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8237 [https://www.bastabugie.it/8237] SAN GREGORIO VII CI INVITA A LASCIARE IL QUIETO VIVERE E A COMBATTERE di Roberto de Mattei Nel maggio del 1085, 1040 anni fa, morì il Papa San Gregorio VII, Ildebrando di Soana (1030ca-1085), il più grande riformatore del suo tempo e anche uno dei più grandi Papi della storia. Ildebrando, malgrado la sua riluttanza, fu eletto al soglio pontificio il 29 aprile 1073, a sessant'anni di età. Così egli si esprimeva appena eletto: "Voglio che voi sappiate fratelli carissimi che siamo stati posti in tal luogo da essere costretti, volenti o nolenti, ad annunciare la verità e la giustizia a tutte le genti, soprattutto alle genti cristiane, poiché ha detto il Signore: grida, non stancarti di gridare, leva la tua voce come una tromba e annuncia al mio popolo i suoi delitti". Gregorio VII affrontò di petto i mali morali del suo tempo. Pochi mesi dopo la sua elezione, nel 1074, convocò a Roma un Concilio e vi fece approvare due importanti decreti: il primo contro i preti trasgressori della legge sul celibato, il secondo contro la simonia; inviò quindi da ogni parte legati e lettere, imponendo ai vescovi di tenere concili dove promulgassero e facessero osservare tali decreti. In un secondo concilio nel 1075 condannò l'investitura laica dei vescovi. Per Gregorio esisteva uno stretto nesso tra la simonia e la politica delle investiture. I pubblici poteri (imperatore, re, duchi e conti) infatti designavano i prelati, ne imponevano la scelta e talvolta li creavano consegnando loro il pastorale o l'anello, insegna dei loro uffici religiosi. Obiettivo di Gregorio era quello di ripristinare la dignità e l'indipendenza dell'episcopato, opponendosi all'investitura laica da parte dell'imperatore o di altri poteri secolari. MATILDE DI CANOSSA Si ribellarono al Papa l'imperatore Enrico IV, il clero di Germania e quello di Lombardia. Gregorio citò Enrico a comparire in Roma, in un dato giorno, con minaccia di scomunica se egli avesse mancato. Allora Enrico convocò un Concilio contro Gregorio a Worms e si accordò con il prefetto di Roma, Leucio, per destituire il Papa. Leucio, nella notte di Natale del 1075, entrò con i suoi armati in Santa Maria Maggiore, dove il Pontefice celebrava una cerimonia, lo strappò dall'altare ferendolo nel capo e lo fece prigioniero. Ma il popolo poche ore dopo liberò il Papa. Gregorio adunò un nuovo Concilio (1076) nel quale solennemente scomunicò Enrico e dichiarò i sudditi di Germania e di Italia sciolti dal giuramento di fedeltà, scrivendo però ai principi tedeschi che non abusassero della scomunica contro il Re, ma cercassero di farlo ravvedere. La sentenza del Papa fu un colpo terribile per la causa di Enrico in Germania. Molti dei signori a lui soggetti gli si ribellarono e convocarono una dieta per nominargli il successore. Enrico allora, visto il pericolo, scese in Italia per riconciliarsi con il Papa (1077). Gregorio, che si era mosso da Roma per recarsi in Germania per assistere alla dieta di Augusta, saputo del viaggio di Enrico in Italia, da Mantova, dove si trovava, si portò a Canossa, nel castello della contessa Matilde, a lui fedele. Era il mese di gennaio. Gregorio, all'inizio, si rifiutò di ricevere Enrico, ma questi giunse al castello di Canossa, camminando a piedi nella neve, rivestito di una tunica di lana grezza. Il Papa nutriva diffidenza verso quel pentimento così improvviso, ma la contessa Matilde e l'abate Ugo di Cluny implorarono il Pontefice di non ricusare le suppliche di un penitente. Dopo tre giorni di attesa, il 28 gennaio (1077) Enrico venne ufficialmente ammesso alla presenza del Papa, perdonato e assolto dalla scomunica. Dopo circa sette secoli da che l'Imperatore Teodosio si era inginocchiato penitente di fronte al vescovo Ambrogio di Milano, un nuovo imperatore si inginocchiava di fronte all'autorità religiosa della Chiesa. Ma il pentimento di Enrico IV, a differenza di quello di Teodosio, non fu sincero. Il sovrano non rimase fedele alle sue promesse e nonostante gli fosse stata vietata dal Papa l'incoronazione come re d'Italia, si fece coronare e prese le armi contro Rodolfo di Svevia che intanto era stato eletto imperatore in sua vece dai principi tedeschi. IL DICTATUS PAPAE Gregorio VII reagì con fermezza rivendicando la sua autorità. Egli sintetizzò la sua posizione nel Dictatus Papae, una raccolta di sentenze che mostra le relazioni che devono esistere fra il Sacro Romano Impero e il Papato. Si aprì una guerra tra i fedeli dell'imperatore e quelli del Papa. Gregorio trovò appoggio in Matilde di Canossa, una donna straordinaria, di stirpe longobarda. Suo marito era stato assassinato e Matilde era rimasta sola a governare un vasto Stato, nel centro dell'Italia, di cui, non avendo eredi, fece dono a Gregorio nel 1079, in aperta sfida con l'imperatore. Enrico IV convocò a Bressanone un Concilio, in cui fece deporre il Papa e decretò Matilde deposta e bandita dall'impero. Il sovrano tedesco scese quindi su Roma e assediò il Papa in Castel Sant'Angelo. Gregorio fu deposto e l'antipapa Clemente fu intronizzato solennemente al suo posto. Il giorno di Pasqua (31 marzo 1079) Enrico, insieme con la moglie Berta, ricevette la corona imperiale dall'antipapa. Il principe normanno Roberto il Guiscardo accorse in aiuto di Gregorio VII, ma il saccheggio della città a cui si abbandonò il suo esercito provocò la reazione del popolo che, sobillato dalla fazione contraria al Papa, si sollevò in armi. Gregorio, protetto dalle armi di Roberto il Guiscardo, fu costretto a fuggire e si recò in volontario esilio a Salerno, dove rinnovò la scomunica contro Enrico e l'antipapa Clemente e poco dopo morì, il 24 maggio 1085. Fu canonizzato nel 1606 da papa Paolo V e le sue spoglie sono venerate nel Duomo di Salerno. Si dice che le sue ultime parole furono: "Dilexi iustitiam, et odivi iniquitatem, propterea morivi in exilio", riecheggiando quella del salmista: "Amasti la giustizia e odiasti l'iniquità, perciò ti mosse il Signore con l'oblio della letizia dei tuoi pari" (Salmo 44, 9). La vita di san Gregorio VII ci insegna molte cose. Vorrei intanto sottolinearne una. Il Papa, come Gesù Cristo di cui è Vicario, è sempre stato segno di contraddizione dentro e fuori la Chiesa. La vita di Gregorio VII fu una lotta continua. Qualcuno pensa che nel Medioevo, o in altre epoche, i cristiani potessero vivere disinteressandosi di ciò che diceva e faceva il Papa. Non è così. Nel Medioevo, come in ogni epoca storica, tutti i cristiani, anche i più semplici furono chiamati a rendersi consapevoli delle lotte che la Chiesa affrontava e a dover scegliere tra un Papa e un antipapa, tra un Papa e un imperatore, assumendosi davanti a Dio le responsabilità della propria scelta. La vita del cristiano, come quella della Chiesa, è lotta, e non ci si può sottrarre a questa lotta, limitandosi a seguire l'insegnamento e i riti della Chiesa, senza prendere parte alla battaglia che essa combatte ogni giorno contro i suoi nemici interni ed esterni.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8213 [https://www.bastabugie.it/8213] SAN LUIGI GONZAGA: IL MONDO RIDEVA DELLA SUA PUREZZA... ORA LUI VEDE DIO IN PARADISO di Roberto de Mattei Il primo gesuita insignito del titolo di santo non fu sant'Ignazio di Loyola, ma un suo giovane discepolo, san Luigi Gonzaga, nato il 9 marzo 1568, e morto a ventitrè anni il 21 giugno 1591, il giorno in cui la liturgia della Chiesa lo ricorda. Luigi nacque nel castello di famiglia a Castiglione delle Stiviere, sulle colline mantovane. Era il primogenito di otto figli del marchese Ferrante Gonzaga e di donna Marta Tana di Santena. Il padre era un ufficiale dell'esercito del Re di Spagna Filippo II, la madre dama di corte della regina Isabella di Spagna. Fu alla corte di Madrid che i due genitori si conobbero, prima di tornare in Italia, dove il padre fu nominato governatore del Monferrato. Luigi era destinato alla carriera militare e passò i primi anni della sua vita tra le truppe che il padre comandava. La caccia, l'equitazione, la scherma, furono le prime occupazioni del ragazzo, che però fin dai sette anni aveva manifestato un'attrazione per la vita religiosa. Il marchese Gonzaga, per completare l'educazione del figlio, nel 1577 lo inviò, assieme al fratello secondogenito Rodolfo, a coltivare le buone maniere e a studiare, alla raffinata corte dei Medici, a Firenze. Gli studi e il servizio di corte non facevano però trascurare al giovane le pratiche religiose. Anzi fu a Firenze, nella Basilica della Santissima Annunziata, che Luigi fece voto di perpetua verginità, iniziando ad esercitare in grado eroico la virtù della purezza, tra l'irrisione dei compagni, che lo definivano uno squilibrato. Nel 1580 ricevette la Prima Comunione da san Carlo Borromeo, in visita nella diocesi di Brescia, della quale Castiglione faceva parte a quel tempo. Nel 1581, con il fratello Rodolfo, si recò a Madrid per due anni, come paggio d'onore del principe Diego. A Madrid Luigi studiò lettere, scienze e filosofia, ma lesse anche testi spirituali, e maturò la sua decisione di farsi gesuita. Nonostante l'opposizione del padre, fece gli Esercizi di sant'Ignazio e all'età di 17 anni, il 4 novembre 1585, dopo aver rinunziato ai suoi diritti di primogenito, entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù a Roma. Due anni dopo fece la professione, compì gli studi di teologia, e ricevette gli Ordini Minori. Tra i suoi compagni di collegio era il giovane Abramo Giorgi, che sarebbe morto quattro anni dopo di lui, non dentro un letto però, ma decapitato dai musulmani sulla piazza di Massaua. LA PESTE A ROMA Tra il 1590 e il 1591 la peste uccise a Roma migliaia di persone, inclusi i papi Sisto V e Urbano VII. Luigi Gonzaga, insieme a Camillo de Lellis e ad altri apostoli, si prodigò intensamente ad assistere i più bisognosi. Un giorno, il 3 marzo 1591, trovato in strada un appestato, se lo caricò in spalla e lo portò all'ospedale della Consolazione. La sua salute era sempre stata cagionevole. La sera stessa fu colto da un febbrone e morì, all'età di soli 23 anni, nell'infermeria del Collegio Romano. Nel concistoro del 26 settembre 1605 Paolo V gli conferì il titolo di beato. Fu canonizzato il 31 dicembre 1726, insieme a un altro giovane gesuita, san Stanislao Kostka, da Benedetto XIII il quale, tre anni più tardi, lo proclamò patrono della gioventù cattolica. Il suo corpo venne tumulato nella chiesa di sant'Ignazio a Roma, nello splendido altare barocco di Andrea Pozzo e Pierre Legros mentre il suo cranio è conservato nella basilica a lui intitolata a Castiglione delle Stiviere. San Luigi Gonzaga è anche autore di un aureo Trattato o Meditazione degli angeli, particolarmente degli angeli custodi, pubblicato nel 1589, su richiesta di Vincenzo Bruno, rettore del Collegio romano. Per diventare santi, occorre l'aiuto della Madonna e degli Angeli, ma sono necessarie anche quelle mediazioni umane che la Divina Provvidenza ci assicura. San Luigi Gonzaga ebbe la grazia di avere come direttore spirituale san Roberto Bellarmino che, grazie al suo discernimento delle anime, seppe guidarlo nella vita interiore, fino a farne un capolavoro di santità. San Roberto fu un celebre teologo e controversista, ma basterebbe l'aiuto spirituale che diede all'anima di Luigi per fargli meritare le maggiori ricompense celesti. Per la vita spirituale di san Luigi fu importante anche la madre, una donna di eminenti virtù che vide morire cinque dei suoi otto figli. Fu miracolata in vita da Luigi, che la guarì da una grave malattia ed ebbe la gioia di assistere al suo processo di beatificazione. LA MORTE DI SAN LUIGI Le consolazioni che Maria Gonzaga ricevette da Luigi furono più grandi dei dolori che ebbe dal secondo figlio Rodolfo, che nel 1592, fece assassinare per motivi ereditari suo zio Alfonso Gonzaga, e a sua volta venne assassinato nel 1593 con un colpo di archibugio. Il 10 giugno 1591, pochi giorni prima di morire san Luigi scrisse alla madre una commovente lettera in cui le rivolgeva queste parole: "Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando le bontà divine, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto. La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all'autore della nostra salvezza, godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità dell'anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro ed inviolabile e per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremo. Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o illustrissima signora e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione, mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze. Ho preferito scriverti perché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro l'amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre".

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