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Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8146 [https://www.bastabugie.it/8146] OMELIA III DOMENICA PASQUA - ANNO C (Gv 21, 1-19) di Don Stefano Bimbi I discepoli sono in un momento di attesa, di incertezza. Hanno visto il Risorto, ma non sanno ancora bene cosa fare. Pietro torna a pescare, a ciò che conosce, alla sua vecchia vita. Gesù si manifesta al mattino, nella luce nuova. Non è riconosciuto subito: è discreto, quasi nascosto. Ma quando i discepoli obbediscono alla sua Parola, succede qualcosa di inaspettato: la rete si riempie. È in quel segno che Giovanni esclama: "È il Signore!". È una scena che parla anche a te, che magari stai attraversando una fase di confusione, di passaggio: un nuovo lavoro, il fallimento di alcune relazioni, dubbi di fede. A volte, quando non capiamo cosa sta succedendo, torniamo a ciò che ci è familiare. Ma in questa notte, la pesca è un fallimento. Non basta tornare alle "vecchie reti" se manca il senso. Ma c'è una speranza. Anche tu, nella tua vita quotidiana, puoi non accorgerti subito della presenza di Gesù. Ma a volte basta un gesto semplice, un ascolto sincero, una parola inattesa... e Lui si rivela. In quali momenti della tua vita hai percepito che "era il Signore"? Riesci a riconoscerlo anche oggi? E se Gesù ti chiamasse adesso, sulla riva della tua vita, lo riconosceresti? E cosa faresti: resteresti in barca o ti getteresti in acqua come Pietro per corrergli incontro? PORTATE UN PO' DEL PESCE CHE AVETE PRESO ORA Gesù ha già il fuoco acceso e il pasto pronto. Ma chiede ai discepoli di portare anche il loro pesce. Non perché ne abbia bisogno, ma perché vuole che facciano la loro parte. È così anche con te. Dio non ti scavalca. Ti chiede collaborazione, ti dà responsabilità. Il miracolo è suo, ma le reti le ha usate con te. Cosa puoi portare tu oggi al fuoco di Gesù? Cosa hai da offrirgli della tua vita ordinaria? Gesù non chiede a Pietro "Sei pronto?", "Sei capace?", "Hai rimediato ai tuoi errori?". No. Gli chiede: "Mi ami?". Tre volte. È un dialogo profondo, che passa anche attraverso la ferita del triplice rinnegamento. Pietro risponde con sincerità: "Tu lo sai che ti voglio bene". L'amore è ciò che fonda ogni vocazione, ogni missione. Anche nella tua vita, Gesù ti chiede prima di tutto questo: "Mi ami?". Non chiede perfezione, chiede fiducia in Lui. Se oggi Gesù ti guardasse negli occhi e ti chiedesse "Mi ami?", cosa gli risponderesti? Gesù conclude il dialogo con Pietro con una parola decisiva: "Seguimi". Non gli promette un cammino facile. Gli preannuncia una vita donata fino alla fine. Ma Pietro ora è pronto. Non perché è diventato perfetto, ma perché ha capito che amare Gesù significa seguirlo, anche nei momenti in cui "un altro ti porterà dove non vuoi". Questo Vangelo è un invito personale, oggi, a ritrovare Gesù nella tua quotidianità, a lasciarti coinvolgere da Lui, a rispondere con amore e coraggio. Anche tu, come Pietro, puoi dire: "Tu lo sai che ti voglio bene". E poi alzarti e seguirlo. Cosa significa per te oggi "seguire Gesù"? Cosa sei disposto a lasciare? Dove ti sta chiamando? DOMINE, QUO VADIS? Dopo quel giorno sul lago di Tiberìade, Pietro non è più lo stesso. Quel "Mi ami?" ripetuto tre volte gli brucia dentro, ma lo rende anche libero. Libero di non appoggiarsi più sulla sua forza, ma sull'amore ricevuto da Dio. Libero di iniziare davvero a "pascolare" il gregge del Signore: guidare la Chiesa e confermare nella fede i discepoli di Cristo. Dopo la Pentecoste, troviamo Pietro a Gerusalemme a predicare e convertire i fratelli ebrei, sempre pronto a testimoniare Cristo, anche se viene arrestato per questo. Infine, arriva a Roma, la capitale dell'impero, il centro del potere del mondo di allora. Ma Roma è ostile, i cristiani sono pochi, spesso maltrattati. Durante una persecuzione particolarmente feroce sotto l'imperatore Nerone, Pietro decide di lasciare Roma. Camminando lungo la via Appia, diretto fuori città, gli appare Gesù che cammina nella direzione opposta portando una pesante croce. Pietro, sconvolto, gli chiede: "Domine, quo vadis?" ("Signore, dove vai?"). E Gesù risponde: "Vado a Roma a farmi crocifiggere di nuovo". Pietro capisce. Ha sbagliato ancora una volta, ma è l'ultima. Non deve più fuggire. Torna a Roma a compiere fino in fondo la volontà del suo Maestro e Signore. E a Roma viene imprigionato nel carcere Mamertino, vicino al Foro Romano. Una cella buia, umida, isolata. Pietro non si scoraggia, anzi per lui la fine non è un fallimento, ma compimento. Sa che la sua morte è volontà di Dio. Quando arriva il momento dell'esecuzione, Pietro fa una richiesta che rivela tutta la sua umiltà: non si ritiene degno di morire allo stesso modo del suo Maestro. Per questo chiede di essere crocifisso a testa in giù. E così avviene: sul colle Vaticano, Pietro viene inchiodato a una croce rovesciata come si vede nel famoso dipinto del Caravaggio. È l'anno 64 d.C. In quel luogo l'imperatore Costantino, convertito al cristianesimo, farà costruire la Basilica di San Pietro, a custodire la memoria del pescatore diventato pastore. Sarà Papa Pio XII ad ordinare nel 1940 gli scavi sotto l'altare della basilica vaticana dove vengono ritrovate una decina d'anni più tardi sia la tomba che le ossa appartenute a Pietro, come dimostrò l'archeologa ed epigrafista Margherita Guarducci. Il 26 giugno 1968, durante un'udienza generale, Papa Paolo VI annunciò ufficialmente che "le ossa ritrovate appartengono all'Apostolo Pietro". Sei mai stato a visitare la necropoli sotto San Pietro? Basta prenotare per tempo la visita guidata che si conclude con la venerazione della tomba del capo degli apostoli, primo vescovo di Roma e primo Papa. La vita di Pietro è un viaggio che parte dal mare di Galilea dove era pescatore di pesci e finisce sulla croce dopo essere stato "pescatore di uomini", come predetto da Gesù, ma la sua morte non è stata una sconfitta. Anzi, è stata una vita spesa per amore di Gesù. Un amore imperfetto, umano, che però ha imparato a fidarsi di Dio fino alla fine. Da allora, fino alla fine dei tempi, il vescovo di Roma è il successore di Pietro e quindi il Papa regnante che garantisce l'unità della Chiesa Cattolica, l'unica autentica Chiesa di Cristo.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8145 [https://www.bastabugie.it/8145] OMELIA II DOM. DI PASQUA - ANNO C (Gv 20,19-31) di Don Stefano Bimbi Oggi il Vangelo ci mette davanti a un'immagine potente: le porte chiuse. I discepoli sono chiusi in casa. Non per comodità, ma per paura. Paura dei Giudei di fare la fine di Gesù, paura forse anche di sé stessi, per essere scappati via ed aver abbandonato il Figlio di Dio. Potrebbe essere che anche noi ci sentiamo così. Chiusi in qualche stanza interiore. Bloccati da dubbi, da delusioni, da una fede che a volte non sentiamo più. Oppure feriti, scoraggiati, arrabbiati con Dio, o semplicemente stanchi. Ed è lì, esattamente lì, che Gesù entra. Non bussa. Non rimprovera. Non dice: "Ehi, dove eravate quando ero sulla croce?". Entra. Si mette in mezzo. E dice: "Pace a voi". È la prima parola del Risorto. Non un'accusa, ma un dono. Non un "vi siete comportati male", ma un "sono qui per voi". Iniziamo a farci delle domande profonde. Dove nella mia vita sto tenendo le porte chiuse a Gesù? Ho il coraggio di lasciarlo entrare nella mia paura, nella mia confusione? Gesù nel Cenacolo fa un gesto strano ma essenziale: mostra le mani e il fianco. Non nasconde le ferite. Le ferite sono testimonianza della Passione e trofei della Resurrezione. Sono la prova che l'amore è sempre unito al dolore. Se vogliamo amare realmente dobbiamo essere pronti a soffrire per la persona amata. Lo sa bene una mamma che va a partorire. Lo sa ogni padre di famiglia che si sacrifica ogni giorno per dare sicurezza e benessere ai suoi cari. IL PERDONO DEI PECCATI ATTRAVERSO LA CONFESSIONE Cristo poi invia gli apostoli: "Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". Non dice: "Aspettate quando sarete più preparati e vi sentirete pronti". Li manda così come sono, ma pieni di Spirito Santo. La forza viene da Dio, non dalle capacità dei singoli apostoli. Tra l'altro la parola "apostolo" in greco significa "inviato". Per cosa Gesù invia gli apostoli nel mondo? Per portare la sua Parola e i sacramenti, segni efficaci della Grazia di Dio. Dice Gesù ai dodici: "Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". Gesù dona lo Spirito Santo per rimettere i peccati. Da notare che il Signore stabilisce che il perdono dei peccati deve passare dalla Chiesa che, non a caso, è apostolica. E non dice: "A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, ci penserò io direttamente". Ma dice: "A coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". L'insegnamento è chiaro. Chi vuole essere perdonato non può dire: "Non mi fido della Chiesa e poi i sacerdoti sono più peccatori di me, quindi io mi confesso direttamente da Gesù". Assolutamente no. No Chiesa? No confessione al sacerdote? Niente perdono dei peccati. Il Vangelo non poteva essere più chiaro di così! TOMMASO APOSTOLO Poi arriva Tommaso. Lui non era lì con gli altri la prima volta che è apparso Gesù risorto. Non ci sta a credere solo per sentito dire. Vuole toccare. Vuole vedere. E Gesù non si scandalizza. Anzi, otto giorni dopo torna, entra ancora a porte chiuse, e dice la stessa cosa: "Pace a voi". Poi si rivolge proprio a lui: "Metti qui il tuo dito... e non essere incredulo, ma credente". Gesù non ha paura del nostro dubbio. Lo incontra. Ciascuno di noi deve chiedersi se sta davvero cercando Dio, se approfondisce i temi della fede o è fermo a quello che ha imparato da piccolo. Avere un padre spirituale e fare un cammino di fede è essenziale per fare passi avanti. Altrimenti nella vita spirituale, se non si va avanti, si va indietro. Tommaso tocca, vede, e non dice: "Ah, ok, ora ho la prova, avevano ragione gli altri ora gli chiedo scusa". No, dice: "Mio Signore e mio Dio!". È un grido d'amore. È il momento in cui la Fede diventa un rapporto personale. Non più solo teoria. È relazione con Gesù. Dobbiamo chiederci se anche noi diciamo con Tommaso e nella verità: "Mio Signore e mio Dio". Oppure la nostra Fede è ancora solo una cosa esterna, fatta di abitudini? Il Vangelo di questa domenica in Albis ci chiama a fare pace con la nostra paura, a credere anche con le ferite addosso, a non avere vergogna dei nostri dubbi, ma soprattutto a fidarci di un Dio che continua a entrare, anche quando le porte sono chiuse. Beati noi - dice Gesù - se crediamo anche senza vedere. Beati noi se lo lasciamo entrare, ogni volta, anche nella penombra della vita di ogni giorno. SANT'IGNAZIO DI LOYOLA Concludiamo con una storia vera, di un uomo che non cercava affatto Dio, ma che lo ha incontrato proprio quando le speranze erano finite e tutto sembrava crollare. Il suo nome è Ignazio di Loyola. Da giovane non aveva nessuna intenzione di diventare santo. Era un nobile, un cavaliere. Gli interessavano la gloria, la fama, le armi e le donne. Voleva spaccare il mondo, essere ammirato, vincere battaglie. Non c'era spazio per la fede vera. Era cristiano di nome, come tanti oggi, ma il centro della sua vita era lui stesso. Poi, in una battaglia a Pamplona, fu gravemente ferito da una cannonata. Tutto crollò in un attimo. Costretto a letto per mesi, solo, immobile, con il futuro distrutto. Le sue "porte" erano chiuse: quelle dei sogni, della carriera, delle certezze. Ma lì, in quella stanza ferma, buia, noiosa, Ignazio cominciò a leggere. Cercava romanzi cavallereschi, ma trovò solo una Vita di Cristo e un libro sui Santi. All'inizio li leggeva per passare il tempo, poi… qualcosa cominciò a toccarlo. Ogni volta che immaginava le imprese dei cavalieri, si esaltava… ma poi gli restava dentro un vuoto. Ogni volta che pensava a vivere come San Francesco o come Sant'Agostino, invece, sentiva una pace nuova, più profonda. Fu il primo segnale. Non una visione, non un miracolo, ma un cambiamento dentro. Era Gesù che entrava, come nel Cenacolo, a porte chiuse. E da lì iniziò un cammino lungo, difficile, fatto anche di cadute, dubbi, lotte interiori. Ma quello che Ignazio cercava nel mondo, finalmente lo trovò in Cristo: la vera grandezza, la vera libertà, la vera gioia. E cosa disse alla fine della sua vita? "Prendete, Signore, e accettate tutta la mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza e tutta la mia volontà… a voi, Signore, restituisco tutto." Un uomo che voleva comandare su tutto, alla fine si consegna a Dio con tutto sé stesso. Questo è il potere dell'incontro. Questo è ciò che accade quando Cristo entra nonostante le porte chiuse. Anche noi, come Ignazio, abbiamo i nostri sogni, i nostri castelli, i nostri dubbi. Ma forse proprio lì, dove tutto sembra fermarsi, Cristo ci aspetta per cominciare qualcosa di nuovo. Oggi, se avremo il coraggio di dire come Tommaso: "Mio Signore e mio Dio", se ci fidiamo di quel "Pace a voi", anche noi possiamo cambiare rotta, ricominciare da dentro. Non è mai troppo tardi per incontrare Cristo. Lui entra anche se noi non lo stiamo cercando. Anzi, spesso entra proprio allora. Basta che noi lo riconosciamo come nostro unico salvatore!

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8130 [https://www.bastabugie.it/8130] OMELIE PASQUA DI RISURREZIONE - ANNO C di Giacomo Biffi 1) VEGLIA PASQUALE Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro Da questa lunga e suggestiva celebrazione - con l'efficacia propria del mistero liturgico, che sa farci oltrepassare gli spazi e la successione dei tempi - siamo stati portati al cuore dell'universo e al cuore della storia del mondo. Il cuore della storia del mondo è la Pasqua di Cristo: è il trasferimento di Gesù di Nazaret attraverso la morte e la risurrezione, dall'oscurità dello stato terrestre allo splendore della gloria del Padre. Egli - come nuovo Mosè posto a capo del popolo di Dio, che siamo noi - per primo ha operato questo passaggio di liberazione, perché noi tutti potessimo lasciare i pensieri di disperazione e di morte, che sono propri della condizione umana, per arrivare alla certa speranza della vita vera e senza fine. Il cuore dell'universo è lui, il Crocifisso risorto nel quale tutte le cose cono state pensate: solo se guardate in lui, se illuminate dal suo Vangelo, se orientate al servizio della sua opera di amore e di salvezza, le realtà dimostrano di possedere un pregio che non si svaluta e un senso che non viene mai meno. Così è stato stabilito nell'eterno disegno del Creatore; il disegno che in questa veglia siamo andati amorosamente contemplando. È un disegno che può essere percepito solo dagli occhi resi penetranti dalla fede: i prodigi di Dio restano nascosti a quelli che vogliono tutto ridurre alla misura della loro corta vista e della loro angusta esperienza. La risurrezione di Cristo e la rinnovazione del mondo avvengono nella notte, senza verifiche o testimonianze mondane. Ma per chi crede e accetta il progetto trascendente del Padre, sta scritto: La notte splenderà come il giorno, e sarà fonte di luce per la mia delizia. UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ DISUMANA Se Cristo crocifisso e risorto è il cuore dell'universo, allora comprendiamo perché l'esistenza, la vita associata, il modo generalizzato di convivere e di operare - che oggi non vuol porsi in sintonia col Signore risorto e vivo, e anzi positivamente lo rifiuta - si dimostri senza senno e senza misericordia. Siamo diventati tecnicamente bravi, abbiamo i mezzi per le indagini più raffinate e i più spericolati interventi sulla natura, sull'economia, sulla stessa psiche dell'uomo; eppure la società che si va progressivamente configurando appare nelle sue consuetudini e nei suoi ritmi sempre più impietosa, sempre più arida, sempre più disumana: senza cuore, appunto. Se la Pasqua di Cristo è il cuore della storia, cioè l'evento centrale che solo può dare un senso all'avventura enigmatica dell'umanità sulla terra, allora comprendiamo perché questo continuo mutare nelle varie epoche dello scenario offerto all'immutabile tragedia umana, questo succedersi troppo spesso violento di sistemi politici e di ideologie dominanti, questa serie senza fine di sopraffazioni e di guerre, che è la storia, appaia così irragionevole: proprio perché, considerata per se stessa, fuori da ogni prospettiva pasquale, non ha più un significato né un traguardo al suo divenire. Ciò che stiamo compiendo e vivendo stanotte non è dunque qualcosa di secondario o di marginale. Celebrare o non celebrare la Pasqua - si capisce, non nominalmente o folcloristicamente, ma nella verità delle cose - non è senza conseguenze di rilievo per la vita dell'uomo e per la storia del mondo. UN ESSERE STRANO Chi celebra la Pasqua nella verità ha una visione dell'uomo e della storia, della fatica di esistere e della gioia, delle libertà personali e del rispetto della vita e della dignità altrui, che lo colloca ben lontano dalle idee di chi la Pasqua non celebra e perciò non ha punti di riferimento né criteri per una oggettiva valutazione. Molte volte colui che celebra la Pasqua nella verità sembrerà all'opinione comune e agli occhi delle potenze mondane come un essere strano, un sognatore o un fanatico, o, come capita curiosamente di ascoltare, un integralista. Ma la ragione è con lui; solo lui sa leggere giustamente le cose e gli accadimenti, solo lui in definitiva può vivere con ragionevolezza, perché soltanto la luce della Pasqua può disperdere le tenebre della nostra assurdità esistenziale. Anche le prime testimoni di Gesù vivo e Signore - Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo - hanno sperimentato l'incomprensione: le loro parole - ci ha detto il Vangelo - parvero «come un vaneggiamento». Ma avevano ragione loro: il loro annuncio - non lo scetticismo saputo degli altri - ha percorso la terra, rinnovandola e facendovi fiorire la gioia. Questa è anche la nostra sorte e la nostra missione. Il messaggio, che noi da questo rito vogliamo recare con la nostra fede operosa in ogni angolo della città degli uomini, e l'avvenimento, di cui siamo chiamati a dar garanzia con la nostra vita, potranno anche non essere accettati, potranno perfino essere irrisi. Ma dall'accoglimento di questo messaggio di risurrezione e dal riconoscimento di questo avvenimento rinnovatore dipende la salvezza della ragione in questo nostro tempo dotto e farneticante; dipende anzi la stessa sopravvivenza della famiglia umana, insidiata com'è da una cultura egoista che ha come suo logico approdo la sterilità, lo scetticismo, la morte. Noi però abbiamo una fiducia che nessuna delusione potrà far mai vacillare, perché ci viene proprio dalla realtà perenne della Pasqua. Il Signore è vivo e «la morte non ha più potere su di lui»; e se il Signore. è vivo, la sua Chiesa non muore; se il Signore è vivo, anche noi siamo vivi per lui; se il Signore è vivo, tutta l'umanità possiede una speranza sempre rinascente di salvezza e di vita. 2) MESSA DEL GIORNO DI PASQUA Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone (Lc 24,34). Questa è la prima espressione della fede pasquale da parte degli apostoli, di quegli uomini, cioè, che poi avrebbero fatto della testimonianza resa al Cristo vincitore della morte il senso e lo scopo di tutta la loro vita. Percepiamo in queste parole lo stupore per un avvenimento inaudito, la primizia di una immensa speranza, come l'aurora di una luce consolante che solo da pochi istanti aveva rotto le tenebre di uno sconforto che in quegli uomini dopo la scena spaventosa del Golgota pareva definitivo. Al tempo stesso sentiamo in questa frase una immediatezza, un tono familiare, quasi una freschezza non letteraria che ci garantisce della sua autenticità: Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone. Per la verità da molte ore avevano trovato il sepolcro di Cristo scoperchiato e vuoto; ma il sepolcro vuoto era servito a gettarli nello sconcerto, non era bastato a fondare una certezza troppo bella per essere persuasiva. Sì, fin dalla mattina avevano ascoltato alcune donne che asserivano di aver visto vivo il Nazareno; ma alle donne in queste cose - pensavano quei semplici e concreti pescatori di Galilea - è meglio non prestare troppa attenzione: «Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse» (Lc 24,11). Ma, in un momento imprecisato di quel giorno fatale, il Maestro, che essi avevano visto morire dissanguato sulla croce, appare anche a Simon Pietro, appare cioè a colui che era stato costituito loro capo; e allora le cose cambiano: Pietro non è un uomo che patisca allucinazioni, lo conoscono bene, a lui si può dare credito. In lui, per così dire, è tutta la Chiesa che accoglie la straordinaria notizia che da allora non ha più finito di risuonare: «Il Signore è risorto». Il colloquio tra Gesù redivivo e l'apostolo che aveva tradito non ci è riferito da nessun vangelo: è rimasto un segreto racchiuso nel cuore del più diretto interessato. Ma da quell'incontro - che sarà seguito verso sera da quello con tutto il gruppo degli Apostoli radunato - incomincia ufficialmente la proclamazione ecclesiale: «Davvero il Signore è risorto». I DISCEPOLI DI EMMAUS Al tramonto di quello stesso giorno però Gesù, dimostrando di essere sovranamente libero nella scelta dei suoi testimoni, si era rivelato a due personaggi del tutto secondari, che compaiono qui per la prima volta e poi non saranno più ricordati nella storia delle origini cristiane. L'episodio ci è raccontato dalla suggestiva pagina di san Luca che abbiamo ascoltato. Se con l'apparizione a Pietro e agli Undici viene dato il fondamento a tutta la predicazione della Chiesa, con l'apparizione ai due sconosciuti discepoli ci è detto che ogni uomo - pur desolato e dubbioso e senza speranza - alla fine può e deve arrivare alla fede. In Clèopa e nel suo anonimo compagno ciascuno di noi può riconoscere se stesso, e può riconoscere anche tutta la famiglia umana nei suoi rapporti con Cristo. I due viaggiatori materialmente non mancano di una mèta: sono diretti a Emmaus. Ma spiritualmente non hanno più una prospettiva: camminano, ma non sanno più verso dove; vivono, ma non capiscono più per che cosa. Avevano avuto una speranza, per così dire, «politica»: la liberazione della loro terra dall'oppressione straniera. «Noi speravamo - dicono - che fosse lui a liberare Israele». Adesso tutto ai loro occhi sembrava crollato, e invece tutto stava per cominciare. Pensavano di essere ormai preda dello scetticismo, e non erano mai stati così vicini alla verità. È un po' la situazione che stiamo tutti vivendo. Dopo aver sperimentato il tramonto sanguinoso dei miti del nazionalismo, della razza, della violenza presentata come il motore della storia (che cinquant'anni fa parevano forti e vincenti), il nostro popolo sta assistendo disorientato al declino della più affascinante e drammatica utopia che sia mai co

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8129 [https://www.bastabugie.it/8129] OMELIA GIOVEDI SANTO - ANNO C (Gv 13,1-15) di Giacomo Biffi Nessun'altra sera dell'anno scende sui nostri cuori con la dolcezza appassionata di questa. Scende a suscitare memorie e speranze, pentimenti e promesse, pensieri mesti e palpiti d'amore. Siamo qui a ricordare e a rivivere la «cena del Signore»; l'ultima che egli consumò prima di andare incontro al tradimento, alla morte di croce, alla gloria della risurrezione. Con questa cena egli chiuse l'Antica Alleanza, che veniva celebrata con Il banchetto dell' agnello (come ci ha ricordato la prima lettura); e con l'istituzione dell'Eucaristia inaugurò la Nuova Alleanza (come ci ha detto san Paolo nella seconda lettura). Nel pane e nel vino misteriosamente consacrati la Chiesa ha sempre riconosciuto e onorato la presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore morto e risorto. È il nutrimento arcano che in duemila anni non è mai mancato sulla mensa della comunità cristiana e non mancherà mai fino al termine della storia. Nel discorso di Cafarnao, preannunziando il grande dono dell'Eucaristia, Gesù si è presentato come il pane di Dio (cf. Gv 6,33), il pane vivo disceso dal cielo (cf. Gv 6,51). In tal modo, voleva significare di essere venuto al mondo proprio per saziare ogni vera fame degli uomini. Di che cosa noi abbiamo fame, nella profondità del nostro essere? Abbiamo fame di libertà, di amore, di vita. E proprio per essere nell'Eucaristia il nostro pane di liberazione, di amore, di vita, egli nel dramma della sua passione si consegna alla prigionia, all'odio, alla morte. LA LIBERTÀ MINACCIATA Istituita nella cornice della Pasqua ebraica, che commemorava la liberazione del popolo dalla schiavitù egiziana, l'Eucaristia ci dona colui che è il sostegno e l'alimento della nostra libertà. La libertà dei figli di Dio, che ci è stata conferita col battesimo, è da più parti continuamente insidiata. È insidiata dalle nostre debolezze e dalle nostre incoerenze, che rischiano di riportarci sotto la tirannia del male. Abbiamo bisogno - oltre che del sacramento della riconciliazione - del pane eucaristico che ci ridà entusiasmo e vigore. Come dice sant' Ambrogio: «Chi ha una ferita cerca la medicina. La nostra ferita è l'essere soggetti al pericolo di peccare, la nostra medicina è il celeste e venerabile sacramento» (De sacramentis V,25). Ma la nostra libertà di figli di Dio è minacciata anche esteriormente dalla cultura anticristiana che cerca di intimidirci e quasi vorrebbe che la Chiesa rinunciasse alla verità del Vangelo per adeguarsi a tutte le aberrazioni imperanti. Dove potremo trovare la forza di resistere a tante prepotenze e di richiamare, contro tutte le irragionevolezze, la sapienza della legge di Dio, se non in questo «pane disceso dal cielo»? L'Eucaristia è anche pane d'amore, perché ci pone in comunione con colui che ha cosi tanto amato da accettare liberamente il sacrificio supremo per la salvezza di tutti. Non è facile praticare la legge evangelica dell'amore. Non è facile amare senza stanchezza, amare sempre, amare anche coloro che non sono amabili, amare anche quelli che ci vogliono e ci fanno del male. Eppure le nostre azioni agli occhi di Dio valgono non per la loro bravura o la loro risonanza, ma in proporzione della generosità del cuore da cui sono mosse e animate. Solo questo «pane d'amore» può rendere possibile, e perfino facile e gioioso, ciò che alla nostra natura è ostico e impraticabile. Solo coloro che lo ricevono degnamente, nell'umiltà e nella fede, si trovano arricchiti nell'anima e nel comportamento dal tesoro più prezioso di tutto, che è il tesoro della carità. Questa «riscoperta della carità» è in fondo la grazia più pertinente da chiedere in questa sera dell'ultima cena, quando, come abbiamo ascoltato, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1), cioè fino a mettersi tra le nostre mani come cibo che sostiene il nostro incerto e penoso pellegrinaggio terreno. L'EUCARISTIA È PANE DI VITA Infine l'Eucaristia è altresì «pane di vita». Questa è anzi la connotazione sulla quale il Signore sembra avere insistito di più. Egli ha detto: lo sono il pane della vita (Gv 6,48). E inoltre: Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (Gv 6,51). E ancora: Chi mangia di questo pane vivrà in eterno (Gv 6,58). Chi riceve con le dovute disposizioni l'Eucaristia accresce la vita eterna che il battesimo gli ha infuso, e accende nel suo cuore la vivezza della fede. Perché nella sua sostanza questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17,3). Se si smarrisce la conoscenza saporosa e coinvolgente di colui che è stato inviato come unico Salvatore, non si trova più la strada per andare al Padre. E se scompare dal nostro interiore orizzonte la figura di colui che è il Dio vivo e vero, da cui tutto proviene, si eclissa anche l'uomo, il senso della sua dignità, la persuasione del pregio e della sacralità della sua vita. È ciò che sta avvenendo in una società che, avendo perso di vista il Creatore, moltiplica gli attentati e le aggressioni alle creature che sono l'immagine viva di Dio. Un popolo di Dio che ritorni ad aver fame del «pane di Dio», del pane della libertà, dell'amore e della vita: questa è la grande speranza dell'umanità in questo annebbiato tramonto del secolo. Questa è l'accorata implorazione che eleviamo al Padre in questa sera pensosa e suggestiva del giovedì santo.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8123 [https://www.bastabugie.it/8123] OMELIA DOM. DELLE PALME - ANNO C (Lc 22,14-23.56) di Don Stefano Bimbi La Domenica delle Palme apre la Settimana Santa: i giorni in cui riviviamo il cuore della fede cristiana. Non si tratta solo di ricordare eventi del passato. Si tratta di entrare, anche noi, nella Passione di Gesù, lasciandoci trasformare. UN MOMENTO DI INTIMITÀ CON IL PADRE: ANDÒ AL MONTE DEGLI ULIVI Gesù "uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono". Egli aveva l'abitudine di ritirarsi in preghiera, ad esempio prima della scelta dei dodici apostoli. Anche noi abbiamo bisogno di momenti di silenzio e di preghiera per affrontare le sfide della vita: il lavoro, le relazioni, le incertezze sul futuro. Spesso siamo distratti, presi dalla frenesia o dalle distrazioni digitali. Gesù ci mostra che la preghiera non è un optional, ma una necessità. Quando è l'ultima volta che hai cercato un momento di silenzio per parlare con Dio? Cosa ti impedisce di farlo regolarmente? Come puoi trasformare un luogo o un momento della tua giornata in un "monte degli Ulivi" personale? San Francesco d'Assisi, nella sua vita, cercava spesso la solitudine per pregare, come quando si ritirava nei boschi o nelle grotte. Anche nei momenti di dubbio o sofferenza, trovava forza nell'abbandono a Dio, come quando disse: "Signore, che vuoi che io faccia?". Si sentì rispondere: "Va' e ripara la mia casa". L'INVITO ALLA VIGILANZA: PREGATE, PER NON ENTRARE IN TENTAZIONE Gesù, giunto al Getsemani, dice ai discepoli: "Pregate, per non entrare in tentazione". Queste parole sono un monito per noi oggi. La "tentazione" non è solo il peccato, ma anche la stanchezza, la paura, la disperazione che ci fanno perdere di vista ciò che è veramente importante. Nella tua vita, quali sono le tentazioni che ti allontanano da Dio o dai principi cristiani? Potrebbe essere la pressione sociale, la ricerca del successo a tutti i costi, la paura di fallire, ecc. Gesù ci invita a essere vigili, a non "addormentarci" come i discepoli, che erano sopraffatti dalla tristezza. La preghiera non è solo parlare con Dio, ma anche ascoltare, lasciarsi guidare. È un'àncora che ci tiene saldi nelle tempeste. In quali momenti senti di essere più vulnerabile alla tentazione? Quali sono le "tentazioni" che ti distraggono dalla relazione con Dio o con gli altri? Come puoi essere più vigile e attivo nella tua vita spirituale? Da quanto tempo non vai a parlare con il tuo padre spirituale? Santa Teresa di Calcutta, pur vivendo nella povertà e nel caos delle strade, trovava tempo ogni giorno per pregare: ogni mattina tre ore che comprendevano la Santa Messa, l'adorazione e la meditazione personale. Diceva: "Nella preghiera troviamo la forza per affrontare qualsiasi sfida". La sua vigilanza spirituale le ha permesso di non cedere mai alla disperazione, anche nei momenti più difficili. LA LOTTA UMANA DI GESÙ: ALLONTANA DA ME QUESTO CALICE Nella Passione vediamo Gesù nella sua umanità. Chiede al Padre di allontanare da Lui il "calice", cioè la sofferenza e la morte che lo attendono. È una preghiera sincera, che rivela paura e angoscia, ma termina con un atto di fiducia: "Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà". Questo ci insegna che è normale avere paura, sentirsi sopraffatti. La vera forza non sta nel basarsi sulle nostre forze, ma nell'affidarsi a Dio, anche quando non capiamo il suo progetto. Per noi questo può significare affrontare una scelta difficile soprattutto quando la malattia e la sofferenza, la solitudine e l'abbandono, bussano alla nostra porta inaspettatamente o per lungo tempo. Qual è il "calice" che fatichi ad accettare nella tua vita? Una situazione che non scegli, ma ti tocca vivere? Riesci a dire, come Gesù, "non sia fatta la mia, ma la tua volontà" o ti senti bloccato dalla paura o dall'angoscia? San Massimiliano Maria Kolbe accattò il calice della sofferenza quando offrì la sua vita per salvare quella di un padre di famiglia in un lager nazista. Nel bunker della fame e della sete, riservato a chi aveva tentato di evadere, non si abbandonò alla tristezza o alla disperazione, ma pregava e cantava in onore di Dio e della Madonna coinvolgendo gli altri condannati per far loro rivolgere lo sguardo al Cielo. Non morì di fame, ma dopo lunghi giorni di indicibile sofferenza gli fu praticata una iniezione letale. La sua vicenda sarebbe potuta rimanere sconosciuta, mentre ebbe una diffusione planetaria grazie ai testimoni oculari sopravvissuti alla prigionia. LA LOTTA INTERIORE: IL SUO SUDORE DIVENTÒ COME GOCCE DI SANGUE Gesù, nella preghiera, lotta intensamente, tanto che il suo sudore diventa "come gocce di sangue". Questa immagine ci mostra quanto fosse reale la sua sofferenza, sia quella fisica che quella spirituale. Non era una recita con degli attori, ma una battaglia interiore tra la sua volontà umana e la missione che il Padre gli aveva affidato. Anche noi, a volte, viviamo battaglie interiori: dubbi sulla fede, sensi di colpa, pressioni esterne. Quali sono le tue "battaglie interiori" attuali? Come affronti queste lotte? Ti chiudi in te stesso, o cerchi conforto in Dio, nella preghiera e nei sacramenti? Come puoi trasformare queste difficoltà in un momento di crescita? San Giovanni Bosco, educando i giovani difficili del suo tempo, affrontò molte sfide e opposizioni. Una volta, per eliminarlo, chiamarono il manicomio dicendo che il sacerdote era diventato pazzo. Quando arrivò il mezzo trainato da cavalli per prenderlo capì dove l'avrebbero portato gli infermieri. Allora li convinse a salire prima loro e poi, anziché seguirli anche lui, chiuse lo sportello dicendo al cocchiere di andare via velocemente. I poveretti gridavano di non essere loro i pazzi, ma lui non gli dette retta visto che chi è veramente pazzo non sa di esserlo e le loro grida confermavano questa regola. La forza e l'astuzia di don Bosco veniva dalla preghiera e dalla fiducia in Dio, anche quando tutto sembrava perduto e tutti gli erano contro. L'APPELLO ALLA RESPONSABILITÀ: PERCHÉ DORMITE? ALZATEVI E PREGATE Gesù trova i discepoli che dormono "per la tristezza". Non sono cattivi, ma fragili, distratti, incapaci di sostenere la prova. Quante volte anche noi ci "addormentiamo" spiritualmente, lasciando che la pigrizia, la distrazione o la paura ci tengano lontani dal cammino spirituale? Gesù li invita ad alzarsi e a pregare, a non arrendersi alla tentazione. Per noi questo può significare prendere decisioni coraggiose che diano una svolta alla nostra vita. Non possiamo permetterci di "dormire" quando il mondo ha bisogno di testimoni di Cristo. In quali aree della tua vita stai "dormendo" spiritualmente o moralmente? Cosa puoi fare, oggi, per "alzarti" e rispondere all'appello di Gesù? Santa Giovanna d'Arco, nonostante la sua giovane età, non si tirò indietro davanti alle voci dei santi che le dicevano che avrebbe salvato la Francia dall'invasore Inglese. Fu vigilante e coraggiosa, guidata dalla preghiera e dalla fiducia in Dio, anche quando tutti le voltarono le spalle, incluso Carlo VII che era riuscita a fare incoronare re di Francia. LUCE NELLE TENEBRE: IL TRADIMENTO DI GIUDA E LA REAZIONE DI GESÙ Quando Giuda arriva per tradire Gesù con un bacio, vediamo il contrasto tra l'amore di Cristo e la malvagità umana. Gesù non reagisce con rabbia o violenza, ma con dignità e misericordia, guarendo persino l'orecchio del servo del sommo sacerdote che Pietro aveva mozzato con la spada. Questo ci insegna che, anche quando siamo feriti o traditi, dobbiamo rispondere con amore e perdono. Nella tua vita, hai mai sperimentato un tradimento come quello di Giuda o una delusione da parte di persone di cui ti fidavi? Come hai reagito? Come puoi imitare Gesù, scegliendo la misericordia invece della vendetta? Santo Stefano, il primo martire, mentre veniva lapidato, pregò per i suoi persecutori, dicendo: "Signore, non imputare loro questo peccato". La sua testimonianza di perdono è un esempio luminoso di come seguire Cristo anche nelle situazioni più dolorose. Santo Stefano è il primo ad aver seguito Gesù sulla via del martirio, ma è anche il primo dopo Gesù a perdonare i suoi persecutori. VIVERE SPIRITUALMENTE LA SETTIMANA SANTA Oggi siamo entrati nella Settimana Santa con il ricordo della Domenica delle Palme: lasciamo che il racconto della Passione ci accompagni. Gesù ci mostra la strada: la preghiera, la fiducia in Dio, la vigilanza e il perdono. Non si tratta solo di ricordare ciò che è accaduto 2000 anni fa, ma di vivere oggi, nella nostra vita, la stessa passione di Cristo. Fai di tutto per partecipare il più possibile alle celebrazioni della Settimana Santa: la Messa del Giovedì Santo, la Via Crucis del Venerdì Santo, la Veglia Pasquale. Che questi giorni siano per ciascuno di noi un tempo di grazia, di conversione e di rinnovato impegno a seguire Cristo con tutto il cuore, confidando nell'aiuto costante di Dio che ci sostiene in ogni passo del nostro cammino.
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