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Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8250 [https://www.bastabugie.it/8250] OMELIA XXII DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 14,1.7-14) di Giacomo Biffi Nel contesto di un banchetto in casa di uno dei capi dei farisei, Gesù enuncia alcuni insegnamenti, che ci vengono offerti dall'odierna pagina evangelica. Per la nostra consueta meditazione, proporremo alcune riflessioni che si riferiscono alla cornice del quadro, cioè all'ambiente esterno in cui il Signore viene a trovarsi, e alcune riflessioni che si riferiscono alle parole pronunciate da Gesù. 1. LA CHIESA DI CRISTO È DI TUTTI Gesù ha accettato un invito a pranzo. Non è la sola volta: il Vangelo annota con molta frequenza questa partecipazione di Gesù ai banchetti. Alcune delle sue frasi più profonde, più decisive, più ricche di luce, sono state proferite appunto nell'atmosfera lieta e serena di una tavola imbandita. In genere noi lo troviamo alla mensa di uomini ricchi e potenti: i farisei, che erano i capi religiosi e politici del suo popolo; e i pubblicani, danarosi e gaudenti. Egli pensa a sfamare i poveri, moltiplicando i pani e i pesci, ma non disdegna di dare ai ricchi la sua compagnia e di riceverne in cambio il loro cibo. Egli dice chiaro che i preferiti di Dio sono i poveri, ma non esclude nessuno dalla sua attenzione e dal suo amore. Perfino ai farisei, che per mentalità, opinioni religiose, classe sociale, erano i più lontani da lui, egli non si rifiuta: la salvezza è offerta a tutti. Perciò la sua Chiesa è e deve restare la Chiesa di tutti, si capisce di tutti coloro che con sincerità accettano le sue norme di vita e tentano onestamente (senza mai riuscirci del tutto) di essere i suoi discepoli. Perciò al suo banchetto - cioè il banchetto eucaristico - non ci sono posti riservati; ed è così che la messa diventa davvero l'immagine del Regno dei cieli. 2. GESÙ NON OSTENTA LE SUE VIRTÙ Credo si possa fare qualche considerazione anche sul fatto che appare qui uno stile caratteristico di Cristo, quello della discrezione, quello di non ostentare la sua virtù, quello di non infastidire il prossimo con lo sbandieramento dei suoi proclami di austerità. Egli sa digiunare: ma quando digiuna, si nasconde nel deserto, non lo fa sulla piazza. In pubblico si fa vedere come uno che mangia e beve come gli altri. Egli vive da povero, ma la pratica della povertà non lo induce a vestirsi male: il Vangelo parla del suo mantello ornato di frange e della sua tunica preziosa, intessuta in un solo pezzo, che ai piedi della croce fu tirata a sorte. Ho spesso notato che i veri poveri cercano di vestirsi decentemente: hanno troppa paura di non poterlo fare più, un giorno. La divisa ostentata del povero piace soprattutto ai figli dei ricchi, sazi, sicuri, in cerca di nuove emozioni. 3. LA TENTAZIONE DEI "PRIMI POSTI" IN OGNI AMBITO DELLA VITA Come nota il Vangelo, i commensali di quell'occasione sono alquanto scortesi con lui: Stavano a osservarlo, evidentemente per sorprendere di lui qualche parola o qualche gesto sbagliato. Non si fa così: chi siede a mensa con noi, deve essere da noi trattato con amicizia, non deve essere messo a disagio, non deve sentirsi avvolto da un ambiente ostile. Gesù lo nota e risponde, attaccando per primo con molto garbo coloro che insidiano la serenità del suo pranzo. Avendo osservato come gli invitati sceglievano i primi posti, imparte loro una piccola lezione di buon gusto e di furbizia umana: se non vuoi fare, presto o tardi, una brutta figura, è meglio che resti sempre un po' indietro. Saranno gli altri allora a farti salire. 4. IL CRISTIANO RICONOSCE CON UMILTÀ IL PROPRIO REALE VALORE Ma il testo dice che il discorso di Gesù è una "parabola", cioè ha un significato più profondo e più importante di quello immediato: esprime cioè un principio che vale soprattutto nei nostri rapporti con Dio. È l'insegnamento dell'umiltà, senza della quale non c'è una vera e feconda vita religiosa. L'umiltà è la virtù che ci fa tener presente sempre quello che veramente valiamo (e cioè non molto in faccia agli uomini e niente in faccia a Dio), e ci comportiamo di conseguenza, evitando ogni autoesaltazione, ogni ostentazione, ogni prepotenza, ogni affermazione arrogante dei nostri diritti (che davanti a Dio sono inesistenti). Allora il Signore ci esalterà e ci darà tutto, perché avremo riconosciuto il nostro reale valore. Come abbiamo ascoltato nella prima lettura: Quanto più sei grande, tanto più umiliati; così troverai grazia davanti al Signore; perché dagli umili egli è glorificato. 5. IL CRISTIANO NON CERCA IL PROPRIO VANTAGGIO NEL COMPIERE IL BENE Infine, sempre prendendo lo spunto dalla realtà del banchetto cui stava partecipando, Gesù ci imparte un'ultima lezione: nella vita cristiana, cioè nella vita di fede, di speranza, di carità, non deve entrare mai (o almeno ci si deve sforzare di non fare entrare) il tornaconto umano come motivo delle nostre azioni di bene. Sia quando manifestiamo l'amore verso Dio nella preghiera e in tutti gli atti di culto, sia quando esprimiamo l'amore verso il prossimo facendo del bene, il calcolo dei vantaggi umani non deve contaminare le nostre intenzioni. Così, se non troveremo nessun vantaggio, nessun premio, nessuna corrispondenza, nessuna gratitudine, non ci meraviglieremo, ma ravviveremo la fiducia nel premio della vita nuova ed eterna. Col suo gusto per le frasi paradossali, Gesù ci dice addirittura che dovremo essere felici di non ricavare niente in questa vita dalla nostra bontà, dalla nostra giustizia, dalla nostra religione: Sarai beato... Riceverai infatti la tua ricompensa nella risurrezione dei giusti.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8249 [https://www.bastabugie.it/8249] OMELIA XXI DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 13,22-30) di Giacomo Biffi Continua in questa domenica la provocazione del Vangelo. Continua la serie delle pagine aspre, degli insegnamenti sgraditi, che hanno però il pregio di scuoterci dal cristianesimo inerte, rassegnato o falsamente ottimista, nel quale tutti qualche volta ci scopriamo adagiati. Scegliamo da questo brano di Luca alcune frasi che ci aiutino a organizzare la nostra breve meditazione. UN SALVATORE CHE VA IN CERCA DELL'UOMO Gesù passava per città e villaggi, insegnando. Il suo è dunque un viaggio apostolico, è un ricercare l'umanità dovunque si trovi, è un darsi pena di raggiungere gli uomini, perché tutti possano ascoltare la parola nuova, l'annuncio che tocca i cuori e li trasforma, il messaggio di verità. Si sobbarca alla fatica di girare per gli sparsi centri abitati, perché vuole che a tutti sia portata la possibilità di salvezza. Come si vede, quella che ci viene offerta è l'immagine, consolante e splendida di speranza, di un Salvatore che va in cerca dell'uomo. E proprio a proposito di salvezza il Signore viene un giorno interrogato. IL DOVERE DI NON INDUGIARE NELLE CURIOSITÀ INUTILI E NELLE QUESTIONI OZIOSE Un tale gli chiese: Signore, sono pochi quelli che si salvano? A essere sinceri, lo sconosciuto interlocutore di Cristo ha interpretato la curiosità di noi tutti. Sono tanti o pochi quelli che si salvano? È un problema che presto o tardi tutti si propongono. Alcuni però non si accontentano di farsi la domanda, ma arrivano anche a darsi da soli la risposta. C'è chi risponde: sono pochi. Gli uomini cadono nell'inferno come fiocchi di neve. E c'è chi risponde: si salvano tutti. L'inferno, se c'è, deve essere vuoto. La prima risposta era più frequente un tempo, quando era più forte e vivo nella coscienza comune il senso della colpa. La seconda prevale oggi, in cui nessuno sembra più prendere sul serio l'idea di un vero peccato personale. L'una e l'altra risposta hanno in comune di essere ugualmente infondate e arbitrarie: che ne sappiamo noi della situazione anagrafica del paradiso e dell'inferno? L'unico che avrebbe potuto con cognizione di causa appagare la nostra curiosità era proprio il Signore Gesù. Che però, come abbiamo visto, anche quando è stato espressamente interrogato su questo punto, non lo ha fatto. A chi gli chiede: Sono tanti o pochi?, dice: Sforzatevi. Cioè: invece di farti domande oziose sulla salvezza degli altri, impegnati con decisione a guadagnarti la tua. Più che tentare di violare il segreto di Dio, tieni desta e tesa la volontà di operare ogni giorno per il raggiungimento del traguardo di gioia eterna che ti è stato assegnato, senza la visione buia e scoraggiante di chi ritiene che tutto è contaminato e sopraffatto dal male, e senza la giuliva superficialità di chi si illude che, comunque vadano le cose, alla fine tutto in qualche modo si aggiusta. IL DOVERE DI IMPEGNARSI PER POTERSI SALVARE Sforzatevi di entrare per la porta stretta, dice Gesù. Che significa: la strada che ci condurrà alla casa del Padre è faticosa. Non è e non è mai stato comodo essere veramente cristiani. È la strada che passa per l'osservanza di tutti i comandamenti, che vanno rispettati sempre, anche quando è arduo, anche quando è logorante, anche quando si ha l'impressione di essere soli. È la strada del precetto alto e difficile dell'amore: l'amore di Dio sopra tutte le cose, espresso concretamente nella donazione di noi, del nostro tempo, dei nostri beni; l'amore del prossimo, anche quando il prossimo è antipatico, ostile, ingrato. È la strada del riconoscimento dei propri torti e delle proprie ingiustizie, è la strada della verifica quotidiana della coerenza cristiana della nostra vita, è la strada dell'attenzione ai propri doveri più che ai propri diritti. IL DOVERE DI NON PERDERE TEMPO DI FRONTE AL BENE Il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta. Con questa frase Gesù ci vuol dire che il tempo della pazienza di Dio non si prolunga indefinitamente, che lo spazio per cambiare la nostra condotta e metterci in regola con il Signore non ci sarà sempre concesso. Arriva un momento in cui la porta si chiude, in cui i giochi sono fatti, le decisioni sono prese senza ritorno. Questo è un punto fondamentale della dottrina evangelica: finché c'è vita, c'è sempre speranza di salvezza, anche per il più malvagio dei delinquenti, anche per il più incallito dei peccatori. Ma la vita non c'è sempre. Il momento della morte pone fine a tutte le possibilità: chiuderà la porta. Perciò dobbiamo deciderci subito per il bene, perché non sappiamo quanto tempo ancora ci sia dato. IL DOVERE DI UN CRISTIANESIMO FATTIVO Un ultimo insegnamento possiamo raccogliere dalle parole del Signore: ed è che a farci varcare la porta della salvezza non ci varrà la qualifica puramente verbale di "cristiani", e neppure la familiarità con le discussioni religiose o con la cronaca di vita ecclesiastica. Anche coloro che conoscono i nomi di tutti i cardinali o di tutti i canonici della cattedrale, o hanno letto tutti i documenti del Concilio, o hanno continuato a parlare di giustizia, di carità, di comunità, se non hanno rispettato tutta la legge di Dio e non hanno fattivamente vissuto il comandamento dell'amore, si sentiranno dire: Non so di dove siete. Preghiamo allora e proponiamo perché la nostra condotta ci faccia alla fine trovare aperta e accogliente la porta del Regno. UNA SUPPLICA ACCORATA DI CHI "HA FATTO TARDI" La liturgia ambrosiana della Settimana Santa ha un confractorium (un "Canto allo spezzare del pane") che sembra mettere curiosamente un'estrema preghiera di speranza sulle labbra anche di chi è stato a lungo una "vergine stolta": Non chiudere la tua porta, anche se ho fatto tardi. Non chiudere la tua porta: sono venuto a bussare. A chi ti cerca nel pianto, apri, Signore pietoso. Accoglimi al tuo convito, donami il Pane del regno.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8248 [https://www.bastabugie.it/8248] OMELIA XX DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 12,49-57) di Giacomo Biffi Le lettere di questa messa propongono alla nostra attenzione alcune verità aspre, sgradevoli, ma insieme necessarie e salutari come tutto quello che ci è presentato dalla parola di Dio. La loro meditazione è tanto più importante in quanto noi siamo istintivamente portati a trascurarle e, soprattutto in questi ultimi anni, di fatto sono state troppo spesso dimenticate e taciute. In realtà, in ogni epoca della sua storia (e più ancora nella nostra epoca) la cristianità è stata infestata da troppi falsi profeti, che del messaggio di Cristo hanno colto solo alcuni aspetti (quelli che potevano essere graditi alla mentalità mondana) e hanno sistematicamente ignorato ciò che nell'insegnamento di Gesù poteva apparire urtante, amaro, o anche solo troppo impegnativo. E così hanno finito col proporre un cristianesimo senza vigore, senz'anima, così modernizzato da essere sostanzialmente inutile per l'uomo d'oggi. Perché l'uomo di oggi che ha smarrito Cristo non ha bisogno di carezze, ha bisogno di Cristo; l'uomo che si sta distruggendo con le sue mani non ha bisogno di approvazioni, ha bisogno di essere salvato. Vediamo allora, alla luce della parola del Signore, quali siano le caratteristiche di questi falsi profeti, o almeno del loro evangelo riveduto, corretto, addolcito. 1. LA VERITÀ È IN OGNI TEMPO COMBATTUTA Una prima caratteristica è quella di supporre e di insegnare che il cristiano - sul piano delle incertezze e dei principi - possa e debba andare d'accordo con tutti, sempre e in tutto, anche con quelli che esplicitamente rifiutano il messaggio di Gesù e hanno una concezione della realtà e della vita assolutamente diversa: l'importante, dicono, è evitare la lotta, la polemica, la discussione; l'importante è non passare per intolleranti, per fanatici, per retrogradi; l'importante è la pace a qualunque costo, anche a costo di rinunciare alle proprie convinzioni o di nasconderle. Qual è invece il parere di Gesù, come abbiamo ascoltato dal Vangelo di oggi? Gesù dice: Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico, io sono venuto a portare la divisione. Questo infatti è sempre il destino della verità: da qualcuno è generosamente abbracciata e difesa, da qualche altro è respinta e combattuta. Un cristiano che in tutte le questioni che contano, in tutti i problemi morali e sociali, si trova sempre d'accordo coi non cristiani, deve chiedersi seriamente se sia davvero un discepolo fedele del Signore. 2. IL CRISTIANESIMO AUTENTICO NON PUÒ PRESCINDERE DALLA CROCE Una seconda caratteristica: i falsi profeti di solito predicano un cristianesimo senza croce, senza rinuncia, senza sacrifici. A sentir loro, tutto è lecito, tutto è consentito. In nessuna occasione, davanti alle gravi difficoltà dell'esistenza, della vita familiare, della vita associata, fanno mai appello per risolverle alla mortificazione, all'impegno, al dominio di sé, ma sempre ai mezzi sbrigativi offerti da una tecnica asservita all'egoismo individuale. Ma un cristianesimo senza croce non è quello di Cristo, che ha sempre tenuto davanti agli occhi il battesimo di sangue che avrebbe dovuto subire: C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! 3. IL CORAGGIO DI ANDARE CONTRO CORRENTE Una terza caratteristica del falso vangelo è quella di voler ottenere il plauso della gente e delle forze mondane. Per questo, invece delle verità amare, i suoi annunciatori sono inclini ad annunciare le falsità dolci. È illuminante, a questo proposito, l'insegnamento della prima lettura. Geremia, che era un vero profeta, preannunciava sventure a un popolo sviato. Gli altri profeti, che erano falsi, assicuravano sempre benessere e prosperità. Così, Geremia era odiato e gli altri apprezzati e applauditi, al punto che, per evitare il fastidio delle sue parole, il popolo cerca di uccidere l'autentico inviato di Dio, gettandolo nella cisterna. In genere, l'opinione pubblica, i giornali, i mezzi audiovisivi, le forze economiche, politiche, sindacali, coloro insomma che hanno in mano il potere del mondo, tendono a parteggiare per i profeti falsi contro la vera Chiesa di Dio, e sono sempre pronti a esaltare coloro che sembrano rendere più facile, più moderna, più accomodante (e più inutile) la religione, si fregino essi delle qualifiche di psicologi, di sociologi, di teologi. Noi invece chiederemo la grazia al Signore di saper ben giudicare, cioè di giudicare secondo verità e non secondo comodità. Chiederemo la grazia di saper leggere, come vuole Gesù, i segni dei tempi. Perché è arrivato un tempo, ed è questo, in cui occorre avere il coraggio di essere contro il mondo e contro tutte le sue aberrazioni; in cui, senza preoccuparsi delle critiche, degli scherni, delle incomprensioni, bisogna essere totalmente fedeli all'Evangelo e alle sue esigenze. Preghiamo perché, anche in mezzo alla confusione, non abbiamo mai a perdere la giusta strada e, come dice la seconda lettura, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della nostra fede.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8247 [https://www.bastabugie.it/8247] OMELIA XIX DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 12,32-48) di Giacomo Biffi La nostra breve meditazione domenicale è sempre un po' una verifica delle nostre convinzioni e del nostro comportamento alla luce del genuino pensiero del Signore Gesù. Chi infatti si dice cristiano deve sempre fare attenzione che la sua mentalità sia davvero conforme non alle opinioni correnti del nostro tempo né ai nostri pregiudizi incontrollati, ma all'insegnamento totale di Cristo. Il punto che ci viene oggi richiamato è la persuasione che il nostro destino non è racchiuso nei pochi giorni che ci sono dati da vivere sulla terra; che abbiamo tutti un traguardo; che perciò dobbiamo tenere vivo il senso dell'attesa. Siate simili a coloro che aspettano: per chi vuol vivere secondo il Vangelo, è essenziale mantenere desta la tensione interiore verso gli avvenimenti che concluderanno la vicenda umana. Il cristiano sa che la sua storia terminerà con un incontro personale col suo Signore; un incontro che sarà anche un rendiconto e un giudizio e al quale perciò ci si deve ogni giorno preparare: Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese. Se il nostro spirito è ricurvo e attento solo ai fatti della vita terrestre; se evitiamo, perché troppo duro e fastidioso, il pensiero di ciò che ci sarà dopo; se le nostre speranze riguardano soltanto la terra (un maggior benessere economico, una vita più serena, ecc.) non siamo dei veri discepoli di Cristo, perché il vero discepolo di Cristo è "uno che aspetta", è uno che sa di essere in cammino verso una meta, è uno che sul pensiero del traguardo regola tutta quanta la sua corsa. Per chiarire questa verità fondamentale e per farci riflettere su questo punto, Gesù, nella pagina evangelica di oggi, ci propone secondo il suo solito due paragoni. 1. TENIAMOCI SEMPRE PRONTI ALL'INCONTRO CON CRISTO Il primo è preso dalle abitudini delle case signorili di una volta, ed è un quadretto molto lontano dal nostro modo attuale di vivere. È la figura di un padrone che è andato a una festa di nozze senza lasciar detto l'ora del suo ritorno. Il buon servitore, dice Gesù, resta in piedi ad attenderlo tutta la notte, per essere pronto ad aprirgli subito la porta di casa, appena sentirà la sua mano bussare. Così è di noi: il nostro padrone è partito ed è andato a festeggiare nella gloria del Padre le nozze eterne tra la divinità e l'umanità, che nella immolazione della sua Pasqua sono state riconciliate e saldate per sempre tra loro. È partito, ma tornerà. Egli verrà nell'ora che non pensiamo. A noi il compito di stare desti e aspettare: nessun giorno della nostra vita deve passare senza il pensiero del ritorno imminente di Cristo. Gesù ci dice anche un'altra cosa, una cosa che nel quadro della parabola è del tutto inverosimile, ma che si avvererà alla lettera per noi, se la fine della vita ci sorprenderà nella fedeltà e nella vigilanza: Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e sarà lui a servirli. E cioè noi entreremo nel Regno di Dio non più come servi, ma come figli del Re che godranno per sempre della sua intimità. 2. NON AVREMO NESSUN PREAVVISO Il secondo paragone è ancora più chiaro, ed è comprensibilissimo ai nostri tempi, soprattutto di questi giorni, quando i ladri saccheggiano e devastano gli appartamenti deserti. Nessun ladro - dice Gesù - manda il preavviso con il giorno e con l'ora in cui ha deciso di venire a rubare; il ladro viene sempre all'improvviso. Ebbene, anche il Signore, nella sua visita decisiva, verrà a noi come un ladro. Il che significa che nessuno conosce il momento né della fine del mondo né della fine della sua vita personale. E proprio per questo non ci è consentita nessuna distrazione: tutte le ore dell'esistenza vanno vissute nella fedeltà e nella coerenza col Vangelo di Cristo, perché l'ultima ora non ci sorprenda col cuore inaridito e senza fede, coll'egoismo soffocatore di ogni amore, con l'animo lontano e ribelle al Dio che è la fonte della nostra salvezza. Tenetevi pronti - teniamoci pronti - perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8234 [https://www.bastabugie.it/8234] OMELIA XVIII DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 12,13-31) di Giacomo Biffi Niente fa litigare di più i fratelli delle questioni di eredità. Ci siano da dividere dei palazzi oppure solo dei vecchi mobili, ci siano molti milioni o poche lire, quando si tratta di eredità si finisce sempre col far baruffa. È così dal principio del mondo La legge mosaica regolava minuziosamente, come le legislazioni moderne, il diritto di successione. Chi si credeva defraudato, si rivolgeva spesso per avere giustizia ai dottori della legge, cioè agli interpreti della Sacra Scrittura. Nell'episodio raccontato dall'odierna pagina di Vangelo, un uomo, privato di quel che gli spettava dalla prepotenza del fratello, si rivolge a Gesù, che ormai è riconosciuto maestro: Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità. Gesù risponde: - con un rifiuto, che ci meraviglia un po'; - con un principio sul vero valore dell'uomo; - con una parabola, che ci fa tutti pensare. 1) IL RIFIUTO: RISOLVERE ALLA RADICE OGNI PROBLEMA TEMPORALE Quell'uomo chiedeva giustizia. In una delle solite beghe, che sono la gioia degli avvocati e la rovina delle famiglie, aveva ricevuto un sopruso. La sua richiesta era dunque legittima. Eppure Gesù risponde quasi con durezza, dichiarando la sua assoluta incompetenza: O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi? Come? Non gli sta a cuore la giustizia? Non si preoccupa della sorte di chi è oppresso e derubato dall'egoismo? Gli sta più a cuore che non si facciano confusioni; si preoccupa di più che il suo messaggio appaia chiaramente per tutti l'annuncio del Regno di Dio e non, direttamente e per sé, la sistemazione delle cose del mondo. Certo egli è giudice, ma è il Giudice che giudicherà i vivi e i morti, cioè giudicherà ciascuno al termine della vita su tutto ciò che è stato compiuto. Certo egli è mediatore, ma non per le liti tra noi: è l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, che può riconciliarci col Padre. Allo stesso modo la Chiesa immette nel cuore dei popoli, col desiderio del Regno, una invincibile nostalgia di giustizia anche terrena, ma il suo compito primo resta la redenzione del cuore e la salvezza eterna dell'uomo 2) IL PRINCIPIO: LA PREMINENZA DELL'ESSERE SULL'AVERE Gesù dice: "La vita dell'uomo non dipende dai suoi beni". Cioè: il valore dell'uomo non sta in ciò che egli possiede. C'è qui un radicale contrasto tra la mentalità di Cristo e la mentalità del mondo; contrasto che potrebbe essere espresso dai due verbi più usati della lingua italiana: il verbo "avere" e il verbo "essere". Per il mondo l'uomo vale per quello che ha: "Quanto hai in banca? Hai la casa in montagna? Hai l'automobile fuori serie?". Con queste domande o con altre simili a queste, il mondo classifica un uomo. Per Cristo l'uomo vale per quello che è: "Chi sei? Che cosa sei? Sei vicino a Dio col tuo cuore e col pensiero di ogni giorno? Sei giusto? Sei buono e caritatevole con gli altri?". Con queste domande il Signore ci aiuta a fare una stima di quello che davvero valiamo. Notiamo che l'avere resta sempre esterno all'uomo e dovrà essere presto o tardi completamente abbandonato. L'essere invece è interno a noi e accompagna l'uomo anche di là dalla morte. Perciò il Signore ammonisce: Guardatevi da ogni avidità, cioè da ogni smodato desiderio di avere. Preoccupatevi invece di essere, cioè di crescere nella vostra ricchezza interiore. 3) LA PARABOLA: NESSUNO PUÒ ELUDERE IL GIUDIZIO SULLA PROPRIA VITA Per farci capire bene questa verità, Gesù racconta con stile molto vivace il caso (così frequente anche ai nostri giorni) di un uomo ricco, che ha passato tutta una vita ad accumulare ricchezze e viene improvvisamente strappato ai suoi compiacimenti e alle sue fantasticherie da un piccolo colpo notturno, col quale la sua esistenza terrena bruscamente si conclude. Andava, quell'uomo, delineando un programma che sembra essere quello degli italiani a ferragosto: "Riposati, mangia, bevi, datti alla gioia". È un programma sbagliato? È piuttosto un programma incompleto. Nella vita organizzata così, sembra non ci sia nessun posto né per Dio né per i fratelli che sono nella necessità. Va rilevato anche il fatto che quest'uomo ragionava tra sé. Il suo è un monologo: sia quando pensa agli affari (magazzini, raccolto), sia quando pensa al riposo e al divertimento (mangiare, bere, stare allegri), non ha interlocutori, è solo con se stesso. Non parla né con Dio nella preghiera né con gli altri nelle opere di misericordia. Proprio per questo è stolto. Ma Dio gli disse: Stolto. Drammatica è questa finale del racconto con l'intervento della voce divina che risona nella notte. Dio è un interlocutore che sta zitto a lungo, ma, quando ha deciso, si inserisce di prepotenza nei nostri monologhi. Anche coloro che sembrano averlo escluso definitivamente dalla loro vita, e non si interrogano mai sulla sua volontà, quando meno se lo aspettano se lo troveranno davanti; alla fine dovranno ascoltare il suo parere sulla loro esistenza e sui loro progetti, e non potranno chiudergli la bocca. Per questo conviene abituarsi a parlare con lui fin da adesso, così che la sua voce non abbia un giorno a costituire una brutta sorpresa.

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