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99 episodiosTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8029 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8029] PRESEPI VIETATI, SINTOMO DI UN'EUROPA SENZ'ANIMA di Manuela Antonacci Abituati o meglio rassegnati ad una Francia laicista senza speranza, un bel miracolo di Natale ha spazzato via, stavolta e pare - in questa felice eccezione - non solo una volta, l'eco solito delle ideologie di stampo illuminista. Stiamo parlando dell'iniziativa che, anche quest'anno, continua a Beaucaire, dove il Municipio ha allestito un presepe in linea con una tradizione portata avanti, ormai, da ben 9 secoli. Ma, si sa, c'è sempre chi si sente "offeso" da qualche simbolo cristiano e stavolta, niente meno che da Gesù Bambino che nella sua mangiatoia, ci chiediamo quale tipo di sensibilità sarà andato stavolta ad urtare. E deve averla fatta grossa, perché è addirittura dal 2014 che la Lega dei Diritti Umani (LDH) si batte ogni anno - 2024 compreso - per la messa al bando del presepe nel municipio, arrivando a trascinare in tribunale, questa volta, Nelson Chaudon, il sindaco di Beaucaire che non ha ceduto alle intimidazioni e ha difeso, impavido, tale tradizione. LE TRADIZIONI LOCALI E L'IDENTITÀ CULTURALE L'LDH, comunque, ha pubblicato un comunicato stampa, il 12 dicembre, per specificare l'obiettivo dell'azione legale. Assicura, cioè, che non si tratta di vietare il Natale. La sua argomentazione principale si basa sulla legge del 1905, che promulga la separazione tra Chiesa e Stato. Ricorda la necessità di una completa «neutralità delle autorità pubbliche nei confronti delle religioni» e deplora «la rinnovata inerzia di alcuni prefetti in questa materia». Nel comunicato, l'LDH accusa alcuni funzionari eletti di «privilegiare la loro ideologia a scapito dei principi repubblicani installando presepi di Natale nei municipi». L'associazione condanna, inoltre, il fatto che questi sindaci «mettano in evidenza le origini cristiane della Francia». Ma, nonostante i vari tentativi di censura del presepe perpetratisi negli anni, i sindaci che si sono succeduti, Julien Sanchez (RN) e Nelson Chaudon (RN), non hanno ceduto. Questo mercoledì, 18 dicembre, il sindaco di Beaucaire, Nelson Chaudon, ha difeso con fermezza la presenza dei presepi di Natale nel suo municipio durante il suo intervento davanti al tribunale amministrativo di Nîmes. Accompagnato da diversi sostenitori, tra cui il deputato del RN Yoann Gillet, ha ribadito il suo impegno per la conservazione delle tradizioni locali e dell'identità culturale della Francia. Semplici, schiette e inequivocabili le sue dichiarazioni: «È fuori questione cedere un grammo di cultura, di tradizione, di ciò che costituisce la nostra identità a coloro che vorrebbero cancellarla. Beaucaire difenderà sempre ciò che ci è caro». LA SITUAZIONE IN ITALIA Di segno opposto ciò che è accaduto in un ospedale piemontese, dove una coordinatrice infermieristica ha ordinato di smontare il presepe allestito nel reparto durante il weekend. La donna ha motivato il suo gesto con la solita scusa di voler rispettare la sensibilità, in questo caso, dei pazienti non religiosi o di diverse fedi. Il punto, però, è che non si tratta solo di un problema di fede ma, come dice il sindaco, di cultura, cioè non si fa una cultura, un paese, l'Europa, se l'Occidente dimentica quali sono i riti e le tradizioni culturali che l'hanno identificato, ovvero se non c'è un passato condiviso. Per chi ha fede, dunque, il presepe è il simbolo della discesa di Dio, ma anche per chi non ha fede ed è un europeo, un occidentale, ha un significato e una sua importanza, perché ne va, appunto di ciò che cementa una comunità, come ha ben chiarito il sindaco di Beaucaire. Per il caso italiano, poi, togliere un presepe ha meno senso che mai, perché quel bambino è venuto, in realtà, semplicemente per prendere su di sé le sofferenze degli uomini e, anche per chi non crede e nel caso italiano si trova in ospedale, resta un messaggio molto importante. La sua censura, in questo caso, rispecchia più che altro il punto di vista personalissimo della caposala che, forse, proprio in nome del rispetto che millanta, dovrebbe lasciare anche agli altri la possibilità di non credere o di professare altro sì (e su questo il presepe non ha nessun potere, né influenza) ma anche di credere liberamente in ciò in cui si sceglie di credere o culturalmente di rispecchiarsi.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8000 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8000] LA BUFALA DEL GENOCIDIO DI ISRAELE A GAZA SMASCHERATA ANCHE DALL'ONU di Stefano Magni Ipnotizzati dalle elezioni americane e dalla scelta dei segretari nella prossima amministrazione Trump, rischiamo di perderci la notizia più importante sul Medio Oriente da un anno a questa parte. Cosa è successo? Non sui campi di battaglia di Gaza e del Libano, ma nelle sedi delle Nazioni Unite, è stata di colpo ribaltata la narrazione prevalente del conflitto mediorientale: i morti palestinesi non sono 42.200, ma 8.119, ultima stima accertata riguardo alle operazioni dal 1 novembre 2023 al 30 aprile 2024. Lo si legge nel rapporto pubblicato dall'Alto Commissariato per i Diritti Umani dell'Onu, lo scorso 8 novembre. La stima è stata elaborata con le dovute cautele, perché si parla pur sempre di una guerra in corso e di una zona, la Striscia di Gaza, che è difficilmente accessibile in modo sicuro da ispettori civili e riguarda i primi sei mesi di guerra. Quindi va presa con le molle. Ma la differenza fra la stima delle Nazioni Unite (8119 morti per i primi sei mesi di guerra) e quella diffusa a ottobre dal "Ministero della Sanità" palestinese (42.200 morti) è troppo eclatante per essere ignorata. Da notare che il Sud Africa, denunciando alla Corte Internazionale di Giustizia per "genocidio" Israele, nel gennaio scorso (otto mesi prima della pubblicazione del rapporto) parlava di 25.700 vittime dell'azione militare israeliana. E un mese fa, il 14 ottobre, lo stesso segretario generale dell'Onu, senza attendere i risultati di un'indagine condotta dall'Onu stessa, parlava in pubblico di 42.200 vittime dell'azione israeliana a Gaza, riportando pari-pari i numeri diffusi dalla propaganda… pardon, dal "Ministero della Sanità" palestinese. SILENZIO E MISINFORMAZIONE Si parla di morti, a cui va tutto il nostro rispetto e come rileva giustamente Iuri Maria Prado, sul Riformista: "Si tratta, evidentemente, di una materia delicatissima e da affrontare con il dovuto tatto. Perché neppure 8 mila, ma già solo 8 morti sono troppi, sempre e comunque. È una necessità di pietoso riserbo, tuttavia, che dovrebbe comandare la parola di tutti, ma di cui non sente la pressione chi da un anno a questa parte largheggia nella distribuzione propagandistica di quei numeri incontrollati soltanto per fare chiasso, per rimestare nella carne della popolazione sofferente e agitare poi le mani sanguinanti a denuncia dello sterminio." Se le indagini dell'Onu sul campo sono difficili e le ultime stime sono da prendere con le molle, perché tutti, persino Guterres stesso, con grande sicumera, hanno deciso di diffondere le cifre della "Sanità" palestinese? E perché, neppure di fronte a questo rapporto, la stragrande maggioranza dei media italiani e internazionali non si pone neppure il dubbio di aver detto il falso sul numero dei morti a Gaza? Perché, detto per inciso, la reazione dei media italiani, dopo la pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite, è stata peggiore del silenzio: andate su Google, cercate la notizia e troverete solo che "il 70% delle vittime sono donne e bambini, secondo il rapporto dell'Alto Commissariato Onu per i diritti umani". I maniaci della correttezza dell'informazione, la chiamerebbero: misinformazione. Cioè l'uso polemico e tendenzioso di una notizia che, benché vera, è estrapolata dal suo contesto. CAMPAGNA CONTRO ISRAELE Non è paranoia se affermiamo che è in corso una campagna di mostrificazione di Israele. Senza tirare in ballo l'antisemitismo, che comunque è ancora vivo e diffuso, la causa è l'ideologia anticolonialista fuori tempo massimo che identifica in Israele (paese nato con una guerra di indipendenza) un residuo di colonialismo occidentale e "bianco". Israele, in tempo di pace, viene accusato di razzismo e apartheid, condanne che l'Onu ha cercato addirittura di formalizzare, più volte nel passato recente, come durante la Conferenza contro il razzismo di Durban nel 2001. In tempo di guerra, Israele viene accusato di genocidio. E non è la prima volta che succede, perché anche durante la Seconda Intifadah (2000-2005) veniva usata l'etichetta "genocidio" per condannare le operazioni antiterrorismo, anche in quel caso sparando cifre inverosimili delle vittime civili palestinesi, poi tutte regolarmente smentite. Singolare fu il caso del raid israeliano a Jenin nel 2002: "500 morti civili" che poi si rivelarono essere 48, di cui appena 5 erano civili. Non si tratta di un lavoro da macabri contabili delle disgrazie altrui: sparare una cifra piuttosto che un'altra fa la differenza fra la vita e la morte delle comunità ebraiche nel mondo, soprattutto in Europa, dove subiscono la pressione delle comunità islamiche. Se gli israeliani, in un anno, hanno provocato 42.200 morti a Gaza, con una percentuale altissima di civili, quasi tutti bambini, allora stanno compiendo un genocidio. Allora è "normale" che ad Amsterdam vengano aggrediti per strada. Diventa "normale" che un albergo nelle Dolomiti non accetti clienti israeliani. È "comprensibile" che collettivi studenteschi occupino le università e pretendano l'interruzione di ogni rapporto e collaborazione con le istituzioni di uno Stato "genocida". Diventano "giustificate" le aggressioni a chiunque porti la kippah. Perché c'è un "genocidio" e allora, si sa, c'è qualcuno che si può arrabbiare nei confronti di chi fa parte dello stesso popolo "genocida". Ma il punto è che: il genocidio non c'è. A Gaza è in corso una guerra, non uno sterminio sistematico. In compenso, le cifre mostruose (in tutti i sensi) sparate a reti unificate sulle vittime civili a Gaza, provocano anche una colpevole rimozione: quella delle 1.200 vittime israeliane del pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023. Di fronte al "genocidio di Gaza" le vittime di un atto genocida vero, gli ebrei di Sderot e dei kibbutz del Negev occidentale, vengono cancellati dalla memoria collettiva con un atto di negazionismo in tempo reale.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7967 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7967] CENSURARE ELON MUSK E X, FIRMATO UNIONE EUROPEA di Luca Volontè Il mondo politico e culturale liberal-socialista è passato rapidamente dall'abbracciare la cultura della cancellazione alla richiesta esplicita di una censura illiberale. Le prove sono ormai sotto gli occhi di tutti coloro che riescono ancor a vedere la realtà e sono dotati del minimo di coraggio per affermarla. Molti governi di democrazie occidentali stanno conducendo una guerra contro la libertà di parola. L'Australia laburista vuole approvare una legislazione sulla censura radicale a novembre. La Spagna del socialcomunista Sanchez, come abbiamo descritto su queste pagine, ha già portato in parlamento la proposta di controllo sugli organi di informazione e siti di news che non si adeguino alla narrazione del potere. Il governo irlandese ha abbandonato solo momentaneamente la sua legislazione di stampo sovietico sull'incitamento all'odio, ma i partiti attualmente al governo promettono di approvarla, se vinceranno le prossime elezioni, la prossima primavera. L'AGENDA DI CENSURA PIÙ AGGRESSIVA DELL'OCCIDENTE L'Unione Europea da un anno è sulla buona strada per attuare l'agenda di censura più aggressiva dell'Occidente, partendo dalla persecuzione continua verso Elon Musk e la sua piattaforma "X" e dopo averla ampiamente sperimentata anche durante la campagna elettorale per l'elezione del parlamento europeo. Nelle ultime tre settimane, uno dei più influenti e grandi miliardari e filantropi del mondo, Bill Gates, e due recenti Segretari di Stato USA, John Kerry e Hillary Clinton, hanno tutti epresso forti appelli per censurare, per la salute pubblica e la salvaguardia della democrazia, sia internet che le piattaforme che consentono l'espressione del libero pensiero non conforme. Tutto ciò che non piace, persino la realtà del sesso biologico o le foglie verdi d'estate di G.K. Chesterton, è "pericolosa disinformazione". Siamo al punto in cui non solo l'imperatore illiberalsocialista è nudo, ma sta sfrecciando consapevolmente per la piazza della città, additando tutti gli osservatori che sghignazzano, come pericolosi disturbatori dell'ordine pubblico. Un numero crescente di questi nuovi censori dipinge i propri bersagli direttamente sulla schiena di uno degli uomini più stravaganti e geniali del mondo, quell'Elon Musk che è proprietario della piattaforma social più libera del pianeta, contrario alla ideologia del gender che ha distrutto il figlio, sostenitore della natalità e crescita demografica, supporter di Donal Trump e dei politici conservatori dell'intero globo terracqueo, da Bolsonaro a Orban e sino alla Meloni. ATTACCO INQUIETANTE L'ultimo attacco inquietante, perché dimostra in quale pericolo l'Europa e tutti noi ci siamo trovati e nel quale viviamo ancor oggi, viene da un'intervista a Politico, pubblicata mercoledì 16 ottobre, di Vera Jourová che si è spinta fino a bollare Elon Musk, il proprietario di X, come un «promotore del male» solo perché ha trasformato la piattaforma precedentemente nota come Twitter in uno degli ultimi hub di libertà di espressione rimasti su Internet. Secondo la potentissima e liberalissima Jourovà, Elon Musk «non è in grado di riconoscere e distinguere tra il bene e il male» e perciò sta amplificando l'odio e mettendo in pericolo la democrazia occidentale. E' bene ricordare che Věra Jourová è la vicepresidente uscente e tutt'ora in carica della Commissione europea con delega ai Valori e trasparenza ed è stata commissario alla giustizia dal 2014 al 2019. Ad agosto era stato il commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton, responsabile della creazione del famigerato strumento di censura dei social media, il Digital Services Act (DSA), a minacciare Musk di ulteriori «ripercussioni legali» se non avesse censurato Donald Trump e altre figure politiche ritenute coinvolte in «incitamento all'odio», minaccia proclamata solo pochi giorni dopo che Musk aveva ripristinato l'account dell'ex presidente, ha condotto un'intervista di due ore con lui, accumulando 100 milioni di visualizzazioni in 24 ore. Dunque, i valori europei tutelati, promossi e garantiti dalla Jourovà, dalla Commissione e soprattutto dalla maggioranza che sino ad oggi la sostiene, quantomeno nella sua importante composizione illiberal-socialista, si mostrano per quel che sono: censura per i dissidenti, bavaglio alla libertà, spregio per opinioni altrui.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7934 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7934] LA GIORNATA DELLA PACE E LE GUERRE DIMENTICATE di Anna Bono Lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni, la loro cooperazione, la pace e la sicurezza mondiali sono tra i principali obiettivi delle Nazioni Unite. Per questo nel 1981 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha deciso di dedicare una giornata alla pace, dapprima celebrata ogni terzo giovedì di settembre e, dal 2001, sempre il 21 settembre. Da allora la Giornata internazionale della pace ogni anno è occasione di eventi intesi a sensibilizzare sul problema della guerra e della violenza, sul contributo che ciascuno di noi può dare alla costruzione di un mondo in cui libertà e giustizia siano garantite a tutti gli esseri umani. Il tema scelto per quest'anno, Coltivare una cultura di pace, vuole sottolineare l'importanza di costruire società basate sul dialogo, l'empatia e il rispetto dei diritti umani. «La guerra inizia nella mente degli uomini e perciò è nella loro mente che si devono costruire le difese della pace». Il tema si è ispirato a questa convinzione che condusse alla creazione nel 1945 dell'Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura). A partire dal 2001, almeno nelle intenzioni dei promotori, dovrebbe essere anche un giorno di tregua durante il quale i contendenti depongono le armi, in cui concordano, seppure per poche ore, un cessate il fuoco. Quest'anno sarebbe quanto mai necessario perché decine di milioni di persone nel mondo sono allo stremo delle forze e con loro le decine di migliaia di operatori umanitari che tentano di soccorrerli e di assisterli. LA PROPAGANDA DI CHI CONTROLLA I MASS MEDIA La distrazione e una visione ideologicamente orientata fanno sì che molti, forse la maggior parte della gente, pensino che siano due le guerre in corso in questo momento nel mondo: quella iniziata nel 2022 con l'invasione militare dell'Ucraina da parte della Russia e quella originata dall'attacco di Hamas alla popolazione civile israeliana il 7 ottobre 2023. Su entrambe si concentra l'attenzione con notizie quotidiane, analisi, reportage. Invece attualmente nel mondo si contano 41 conflitti armati: sei, tra i quali i due già citati, più cruenti e devastanti, con oltre 10mila morti tra militari e civili dall'inizio del 2023 e 35 "minori", alcuni dei quali classificabili come a bassa intensità, con meno di 10mila morti nello stesso arco di tempo. Esistono poi altre 15 aree di tensione nelle quali si verificano sporadici scontri, per lo più con poche vittime: ad esempio, quelli che tuttora scoppiano tra Corea del Nord e Corea del Sud e che hanno causato 12 morti nel 2023 e 30 dall'inizio del 2024, residuo di una guerra che però ha provocato tre milioni di morti. O quelli nell'ovest della Repubblica democratica del Congo, dove le vittime sono state 44 nel 2023 e 78 dall'inizio del 2024. Quello in Sudan, tra due generali e i loro eserciti, è uno dei sei conflitti ritenuti più sanguinosi. La guerra è scoppiata nell'aprile del 2023. La ferocia dei contendenti è responsabile della più grande crisi umanitaria del mondo: oltre ai civili morti stimati, per difetto, in circa 25mila, 25 milioni di persone, metà della popolazione, bisognose di aiuto, 12 milioni di profughi, denutrizione endemica e la previsione che entro la fine dell'anno potrebbero morire di fame 2,5 milioni di persone. Della guerra in Sudan si parla poco. Si hanno ancora meno notizie su un'altra guerra, quella in Myanmar tra le forze governative e i movimenti popolari di resistenza. È incominciata nel 2021 quando i militari hanno preso il potere con un colpo di Stato. I morti dall'inizio del 2023 sono circa 30mila, le persone in difficoltà bisognose di assistenza sono quasi 18 milioni su un totale di 54 milioni di abitanti, i profughi superano i 2,6 milioni. LA GUERRA SANTA ISLAMICA PROVOCA MORTI E MILIONI DI PROFUGHI Si stimano in almeno 25mila anche le vittime del jihad, la guerra santa islamica, nel Maghreb e nel Sahel, uccisi da gruppi affiliati ad al Qaeda e all'Isis. I profughi sono milioni, impossibile un conto esatto, e ben 16 i paesi colpiti. Infine, del tutto ignorato dai mass media e dalle associazioni che organizzano le marce e le altre iniziative per la pace è il sesto conflitto, violentissimo, con quasi 20mila vittime in meno di due anni: quello contro i narcotrafficanti e tra i diversi cartelli della droga in Messico. Per il modo in cui la guerra è condotta, si contano inoltre decine di migliaia di dispersi, persone scomparse senza lasciare traccia. Etiopia e Somalia sono tra i paesi in cui la guerra ha ucciso poco meno di 10mila persone dall'inizio del 2023. In Etiopia gli scontri sono tra esercito governativo e milizie etniche, al momento quelle Amara. Prima a sfidare il governo erano stati i Tigrini che nel 2020 hanno tentato di riprendere il potere. La guerra è durata due anni e ha fatto da 500 a 600mila morti. Invece la Somalia ha un non invidiabile primato, quello della guerra più lunga: è iniziata nel 1987 con la rivolta contro il dittatore Siad Barre e dopo la sua sconfitta si è trasformata in guerra tra clan, alcuni dei quali circa 20 anni fa hanno scelto di affiliarsi ad al Qaeda. Sudan, Myanmar, Etiopia, Somalia: sono conflitti interni, tra fazioni per il controllo dello Stato, per il potere, e per questo si chiamano "guerre civili". Civili, inermi, sono gli uomini, le donne, i bambini che costituiscono la maggior parte delle vittime. Nella Giornata internazionale della pace si vorrebbe ovunque una tregua, ma non succede mai. Anche quest'anno nessuno ha accettato di deporre le armi.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7913 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7913] X SOSPESO IN BRASILE PERCHE' ELON MUSK SI RIFIUTA DI CENSURARE 24 milioni di utenti non potranno più accedere all'ex Twitter a causa di una sentenza della Corte Suprema di Lula, provvedimento degno di una dittatura di Stefano Magni Non sospendi gli utenti che ti ordino di sospendere? Allora blocco tutto il social network nel mio paese. Questo è quanto è appena successo in Brasile: la Corte Suprema, venerdì 30 agosto, ha ordinato la sospensione di X, l'ex Twitter, dopo una battaglia legale durata mesi tra il proprietario del gigante dei social media, Elon Musk, e le autorità brasiliane, soprattutto il giudice supremo Alexandre de Moraes. Da domenica 1 settembre, circa 24 milioni di utenti non potranno più accedere al grande social network americano. Venerdì, la maggioranza di un collegio di cinque giudici ha votato a favore del divieto dopo che Alexandre de Moraes ha chiesto alla Corte di rivedere la sua decisione. Elon Musk ha definito de Moraes un "dittatore". Il motivo ufficiale è che l'azienda americana non ha rispettato la scadenza fissata dal giudice de Moraes per nominare un nuovo rappresentante legale nel Paese. Perché però, non è stato nominato un rappresentante legale, in tempo? La settimana scorsa, Musk aveva chiuso gli uffici brasiliani della piattaforma, dopo che i membri del suo staff erano stati minacciati di arresto. Se avesse nominato un rappresentante legale, responsabile in Brasile di eventuali violazioni della legge, questi avrebbe rischiato l'arresto, molto probabilmente. Una volta ordinata la sospensione completa di X nel paese, il giudice de Moraes ha anche stabilito una multa di 50mila reais (circa 8mila euro) per chiunque abbia usato "sotterfugi tecnologici" per aggirare il blocco, come una VPN, una rete privata virtuale. LA LIBERTÀ DI PAROLA Il contenzioso è iniziato ad aprile, quando ad X era stato ordinato di bandire oltre 140 account, tra cui alcuni dei più importanti opinionisti di destra brasiliani e membri eletti del Congresso nelle file dell'opposizione di centrodestra. X si è rifiutata di obbedire, affermando che questi ordini di rimozione sono di per sé illegali e incostituzionali. In risposta alla minaccia di sospensione, Elon Musk aveva dichiarato: «La libertà di parola è il fondamento della democrazia e uno pseudo-giudice non eletto in Brasile la sta distruggendo per scopi politici». Mike Benz (Foundation for Freedom Online) osserva come la notizia della chiusura di X in territorio brasiliano non abbia suscitato alcuna protesta da parte delle autorità americane, sebbene vengano direttamente colpite da questo provvedimento. « Il governo brasiliano ha appena vietato X, il che significa che l'account dell'ambasciata statunitense in Brasile, @USAmbBR, è ora vietato in Brasile - scrive Benz - I brasiliani non possono nemmeno vedere l'account X dell'ambasciata, che non ha rilasciato una dichiarazione di condanna di quanto accaduto, non ha minacciato sanzioni, non ha minacciato di ridurre gli interessi commerciali degli Stati Uniti, non ha minacciato di eliminare i 200 milioni di dollari di assistenza governativa straniera al Brasile, niente di niente». Oltre che il silenzio, Benz accusa l'amministrazione Biden di complicità: «Il governo degli Stati Uniti ha finanziato le Ong brasiliane, i think tank brasiliani, che hanno collaborato ad elaborare questi decreti di censura e che hanno fatto pressioni sul governo brasiliano affinché non facesse eccezione per i parlamentari eletti in Congresso, perché ciò sarebbe equivalso ad un lasciapassare per i parlamentari che diffondono disinformazione». I PRECEDENTI ERANO DELLE DITTATURE Altri paesi che hanno bloccato X (e precedentemente Twitter) entro i loro confini, sono: Cina, Russia, Iran, Myanmar, Corea del Nord, Turkmenistan e Uzbekistan. Il Brasile si unisce a questa breve lista, con la particolarità di essere l'unica democrazia. È l'ennesima prova della deriva autoritaria del Brasile di Lula, il presidente del Partito dei Lavoratori che, dopo la sua scarcerazione e vittoria elettorale, ora gode anche dell'appoggio di una magistratura politicizzata e schierata dalla sua parte. Un ribaltamento dei rapporti di forza rispetto al 2018, quando il presidente di destra Jair Bolsonaro aveva vinto grazie a un'inchiesta della magistratura che aveva distrutto il Partito dei Lavoratori. E anche grazie ai social, che in quegli anni, avevano contribuito a dare un'alternativa all'egemonia culturale della sinistra. Lula, insomma, si sta vendicando con gli interessi. Fraser Myers, editorialista di Spiked!, nota come la tendenza a normalizzare il controllo sui social media e anche la censura propriamente detta stia infatti dilagando anche nelle democrazie. «La messa al bando di X in Brasile questa settimana e l'arresto del fondatore di Telegram Pavel Durov in Francia la scorsa settimana suggeriscono che la guerra globale alla libertà di parola online ha fatto un passo avanti. Mentre nuove leggi come l'Online Safety Act del Regno Unito e il Digital Services Act dell'UE minacciano le aziende tecnologiche con pesanti multe se non si piegano alla censura governativa, il divieto di X in Brasile suggerisce che potremmo iniziare a vedere un approccio ancora più aggressivo alle piattaforme di dissenso nei prossimi anni». Anche la prossima amministrazione americana non promette bene, se dovesse vincere Kamala Harris a novembre. Il suo candidato vicepresidente, Tim Walz, ha dichiarato apertamente, in un'intervista alla Msnbc: «Non c'è alcuna garanzia di libertà di parola per quanto riguarda la disinformazione o i discorsi di odio, soprattutto per quanto riguarda la nostra democrazia». Lo diceva in mezzo a considerazioni sulla libertà di voto, sulla necessità di proteggere gli elettori dall'intimidazione online. Apparentemente è inoppugnabile. Ma il concetto, se allargato, porta a scenari brasiliani.
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