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Vite straordinarie di persone normali che hanno scelto di vivere la vita di tutti i giorni secondo gli insegnamenti del Vangelo 

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San Tommaso, il dottore angelico in 5 punti

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7955 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7955] SAN TOMMASO, IL DOTTORE ANGELICO, IN CINQUE PUNTI Nel 1567 Papa san Pio V proclamò san Tommaso dottore della Chiesa (a quel tempo i dottori della Chiesa erano solo i 4 più grandi Padri della Chiesa: Ambrogio, Girolamo, Agostino e Gregorio Magno) di Padre Giorgio Carbone Nel 1317, cioè 43 anni dopo la morte e 6 anni prima della canonizzazione, Tommaso d'Aquino era abitualmente chiamato "communis doctor" presso l'Università di Parigi, all'epoca il più importante centro di studi di Filosofia e di Teologia. 250 anni dopo, esattamente il 15 aprile 1567, il papa san Pio V proclamò san Tommaso dottore della Chiesa. Oggi i dottori della Chiesa sono 37, ma allora erano solo 4: Ambrogio, Girolamo, Agostino e Gregorio Magno. Pertanto sia il titolo in sé sia il numero esiguo dei santi proclamati tali ci segnalano una dote singolare e rara. (...) In altri termini la Chiesa segnala in Tommaso un eccellente maestro della fede cristiana e del pensiero umano, esemplare per gli scritti e per la fedeltà a Cristo Signore vissuta nella sua esistenza. (...) Se consideriamo che il Concilio Vaticano II indica solo Tommaso d'Aquino come maestro cui ispirarsi, e non altri teologi o dottori, allora questi due brani del magistero conciliare acquistano un significato peculiare per il nostro discorso. Questa presa di posizione ufficiale con grande probabilità fu ispirata da papa Paolo VI, il quale un anno prima, il 12 marzo 1964, rivolgendosi agli insegnanti e agli studenti dell'Università Gregoriana di Roma aveva detto: «I professori ascoltino con riverenza la voce dei dottori della Chiesa, tra i quali san Tommaso d'Aquino occupa un posto speciale. Infatti, la forza dell'ingegno del Dottore Angelico, il suo sincero amore per la verità e la sua sapienza nel ricercare le altissime verità, illustrarle e unirle in un nesso appropriatissimo sono talmente grandi che la sua stessa dottrina è uno strumento efficacissimo non solo per dare alla fede un solido fondamento, ma anche per sperimentare utilmente e con sicurezza i frutti di un suo sano sviluppo». RAPPORTO TRA FEDE E RAGIONE Giovanni Paolo II nell'enciclica Fides et Ratio dedicata al rapporto tra fede e ragione cita ripetutamente san Tommaso e dedica un intero paragrafo alla «novità perenne» del suo pensiero (nn. 43-44). (...): «(...) Pur sottolineando con forza il carattere soprannaturale della fede, il Dottore Angelico non ha dimenticato il valore della sua ragionevolezza; ha saputo, anzi, scendere in profondità e precisare il senso di tale ragionevolezza. La fede, infatti, è in qualche modo "esercizio del pensiero"; la ragione dell'uomo non si annulla né si avvilisce dando l'assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole. E per questo motivo che, giustamente, san Tommaso è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia. (...) Tra le grandi intuizioni di san Tommaso vi è anche quella relativa al ruolo che lo Spirito Santo svolge nel far maturare in sapienza la scienza umana. Fin dalle prime pagine della sua Summa Theologiae l'Aquinate volle mostrare il primato di quella sapienza che è dono dello Spirito Santo ed introduce alla conoscenza delle realtà divine. La sua teologia permette di comprendere la peculiarità della sapienza nel suo stretto legame con la fede e la conoscenza divina. Essa conosce per connaturalità, presuppone la fede e arriva a formulare il suo retto giudizio a partire dalla verità della fede stessa: "La sapienza elencata tra i doni dello Spirito Santo è distinta da quella che è posta tra le virtù intellettuali. Infatti quest'ultima si acquista con lo studio: quella invece viene dall'alto, come si esprime san Giacomo. Così pure è distinta dalla fede. Poiché la fede accetta la verità divina così com'è, invece è proprio del dono di sapienza giudicare secondo la verità divina". La priorità riconosciuta a questa sapienza, tuttavia, non fa dimenticare al Dottore Angelico la presenza di altre due complementari forme di sapienza: quella filosofica, che si fonda sulla capacità che l'intelletto ha, entro i limiti che gli sono connaturali, di indagare la realtà; e quella teologica, che si fonda sulla Rivelazione ed esamina i contenuti della fede, raggiungendo il mistero stesso di Dio. Intimamente convinto che "omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est", san Tommaso amò in maniera disinteressata la verità. Egli la cercò dovunque essa si potesse manifestare, evidenziando al massimo la sua universalità. In lui, il Magistero della Chiesa ha visto ed apprezzato la passione per la verità; il suo pensiero, proprio perché si mantenne sempre nell'orizzonte della verità universale, oggettiva e trascendente, raggiunse "vette che l'intelligenza umana non avrebbe mai potuto pensare». Con ragione, quindi, egli può essere definito "apostolo della verità". Proprio perché alla verità mirava senza riserve, nel suo realismo egli seppe riconoscerne l'oggettività. La sua è veramente la filosofia dell'essere e non del semplice apparire». SAN TOMMASO, MAESTRO PERENNE, IN CINQUE PUNTI Possiamo così riassumere gli aspetti per cui san Tommaso è presentato come maestro perenne: - l'amore sincero per la verità che induce a dialogare con l'altro per conoscere le sue opinioni e a cercare sempre, non il rispetto umano o il concordismo, ma l'adesione anche spregiudicata dell'intelligenza alla realtà; - la fiducia nella ragione umana: questa è capace di conoscere la realtà, e quindi di approdare al vero; - l'armonia e la collaborazione tra la ragione e la fede: sono due modi diversi e complementari di conoscere il reale; - la capacità di esercitarsi nella speculazione delle cose conosciute per cogliere il nesso che le unisce (altrimenti il sapere è ridotto ad un'accozzaglia di nozioni) e per proporre un sistema coerente di idee; - il primato dato a Dio, che creandoci ci dà oggi la vita e la capacità di agire, e quindi il primato dato alla comunione con Dio nella preghiera, nella Messa e nell'Eucaristia offerta e adorata. Tommaso era solito dire ai suoi confratelli e ai suoi studenti che aveva imparato di più pregando che studiando.

22. okt. 2024 - 8 min
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San Girolamo e la caduta dell'impero romano

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7932 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7932] SAN GIROLAMO E LA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO di Roberto de Mattei Il 30 settembre si celebra la memoria di san Girolamo (347-420) uno dei più grandi Dottori della Chiesa, che, come sant'Agostino, si trovò a vivere il dramma della caduta dell'Impero romano. Girolamo nacque a Stridone, in Dalmazia, nel 347, studiò a Roma, dove ricevette il battesimo. Si recò quindi in Oriente, soggiornando soprattutto ad Antiochia. Tornato a Roma nel 382, divenne segretario di papa Damaso e indirizzò all'ideale ascetico vari nobili romani. Un gruppo di donne dell'aristocrazia si riunirono sotto la guida di Girolamo per condurre una vita più perfetta, seguendo il suo appello a una nuova nobiltà cristiana, basata sulla preghiera e sulla verginità. Tra queste ricordiamo Marcella che fece del suo palazzo sull'Aventino una sorta di convento femminile, Fabiola, Proba, Paola. Dopo la morte di san Damaso però, Girolamo fu fortemente combattuto dalla Curia romana, e venne perfino accusato della morte di una sua discepola per i suoi digiuni eccessivi. Nel 386 lasciò allora Roma e si trasferì in Palestina. Alcune discepole, tra cui Paola e la figlia Giulia Eustochio, che saranno entrambe canonizzate, per non perdere i suoi insegnamenti, lo seguirono e decisero di rimanere con lui in Terra Santa fino alla fine dei loro giorni. "Onore a queste valorose! - scrive dom Guéranger - La loro fedeltà, la loro sete di sapere, le loro pie importunità procureranno al mondo un tesoro che non ha prezzo: la traduzione autentica dei Libri santi (Conc. Trid. Sess. IV)". Infatti fu grazie alla loro collaborazione che Girolamo realizzò quella che fu la principale opera della sua vita: la traduzione della Bibbia dal greco e dall'ebraico al latino, la celebre Vulgata, che è ancora oggi il testo biblico ufficiale a cui fa riferimento la Chiesa. Girolamo subì durante la sua vita attacchi e diffamazioni, anche all'interno della Chiesa. A Gerusalemme entrò in contrasto con il vescovo Giovanni, che appoggiava l'eretico Pelagio. "Forti dell'appoggio del vescovo di Gerusalemme, - scrive Dom Guéranger - i Pelagiani si armarono una notte di torcia e di spada e si gettarono all'assassinio e all'incendio sul monastero di Girolamo e sulle vergini, che dopo la morte di Paola riconoscevano per madre Eustochio. Virilmente affiancata dalla nipote, Paola la giovane, la santa raccolse le sue figliuole e riuscì ad aprirsi un passaggio in mezzo alle fiamme. Ma l'ansietà della terribile notte aveva consumate le sue forze e Girolamo la seppellì presso la mangiatoia del Dio Bambino, come la madre e, lasciando incompiuto il suo commento a Geremia, si dispose egli pure a morire". LA MORTE DI SAN GIROLAMO San Girolamo morì poco dopo, il 30 settembre 420. Prima di morire fu testimone nelle sue lettere degli eventi terribili che aprirono il IV secolo. Il 31 dicembre dell'anno 406 i barbari attraversarono il Reno su una spessa lastra di ghiaccio, irrompendo all'interno dei confini dell'impero. Erano Vandali, Alani, Svevi, tribù intere, con donne e bambini, carri, bestie e greggi, quelli che travolsero ogni resistenza e dilagarono in Gallia. Nulla poté più fermarli. Una lettera che san Girolamo scrisse da Betlemme nel 409 ci offre un'immagine impressionante della situazione in cui allora versava l'Impero: "Se fino a questo momento alcuni di noi, per quanto rari, stiamo ancora a casa nostra, non è merito nostro ma lo dobbiamo alla misericordia di Dio. Popolazioni senza numero e ferocissime hanno occupato tutte quante le Gallie. Tutto ciò che è compreso tra le Alpi e i Pirenei, tra l'Oceano e il Reno, i Quadi, i Vandali, i Sarmati, gli Alani, i Gepidi, gli Eruli, i Sassoni, i Burgundi, gli Alemanni e - oh, Stato disgraziato! - i Pannoni, nostri nemici, tutto quanto hanno saccheggiato. Magonza, quell'illustre città d'un tempo, è stata presa e rasa al suolo; nella sua chiesa è stata fatta una carneficina di migliaia e migliaia di persone. (...). Le province dell'Aquitania, di Novempopulonia, di Lione e di Narbona sono state completamente rase al suolo (...). Non mi riesce di ricordare Tolosa senza uno scroscio di lacrime. Se finora non è stata demolita lo si deve ai meriti del suo santo vescovo Esuperio. Anche le Spagne sono lì per lì per ricevere il colpo di grazia (...). Da tempo le regioni comprese tra il Ponto Eusino e le Alpi Giulie e che appartenevano a noi, non sono più nostre; e sono ormai trent'anni che, violato il confine del Danubio, si sta combattendo in pieno territorio dell'impero romano. A forza di versar lacrime, le abbiamo perse tutte invecchiando" (Lettera 123, 15-16). IL SACCO DI ROMA Il peggio non era ancora venuto. San Girolamo e le sue discepole si trovavano a Betlemme quando nell'agosto del 410 un immenso esercito di Visigoti, Unni, Alani e Sciti, guidati da Alarico, giunse, senza incontrare resistenza alle porte di Roma e la invase. Rapine, incendi, stragi, desolarono una città che, da ottocento anni, non era mai stata invasa dal nemico. La notizia del sacco di Roma produsse in tutto il mondo un senso di stupore e di profonda costernazione. La città sovrana, la città eterna, Roma, era stata esposta all'oltraggio dei barbari che essa aveva mille volte debellati. Sono commoventi le espressioni di dolore nelle quali proruppe san Girolamo alle successive e sempre più tristi notizie della caduta della città eterna. "Stavo per tradurre Ezechiele - egli racconta - quando mi giunse in Palestina la notizia della presa di Roma per mano di Alarico e della barbarica devastazione dell'Occidente; rimasi istupidito, e nulla più feci se non piangere". "Il più risplendente lume - egli esclama - si è spento; il capo del mondo è tronco e nella rovina di una sola città è perito tutto l'impero". "La città - così egli continua - che aveva soggiogato tutti i popoli, è stata espugnata; quella che aveva raccolto e accumulato tutti i tesori della terra, è ora spoglia e ridotta ad un mucchio di rovine". Eppure mentre l'astro di Roma si spegneva una nuova luce si accendeva: era la Roma cristiana, la Roma degli Apostoli Pietro e Paolo, la Roma che a differenza di quella pagana, avrebbe sfidato i secoli e i millenni. La luce di questa Roma che non tramonta continua a illuminare il mondo anche quando esso, come oggi accade, sembra immerso nelle tenebre. Il mondo moderno sembra seguire il percorso autodistruttivo dell'Impero romano; la Chiesa di Roma è destinata ad affermarsi sulle rovine del mondo moderno, come già accadde dopo il V secolo.

02. okt. 2024 - 9 min
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La clamorosa storia di santa Marta dopo l'ascensione

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7925 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7925] LA CLAMOROSA STORIA DI SANTA MARTA DOPO L'ASCENSIONE di Pietro Romano Uno dei classici della letteratura cristiana è la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, che contiene meditazioni spirituali sui tempi liturgici e molte vite di santi e martiri (per "leggenda" non si intende "fatto inventato", ma "storia da leggersi"). Tra queste meditazioni "da leggersi" (per la festa liturgica del giorno) si trova anche la vita di santa Marta. Di famiglia nobile, il padre si chiamava Syro ed era duca di Siria, mentre sua madre si chiamava Encharia. Con la morte dei genitori Marta ereditò, insieme a sua sorella Maria, il castello di Magdala, quello di Betania e Gerusalemme. Stando alla tradizione, Marta non si sposò e dedicò tutta la sua vita a servire Gesù. Dopo l'ascensione i tre fratelli Lazzaro, Marta, Maria Maddalena, insieme ad altri cristiani, perseguitati per la fede e abbandonati su una barca senza né vela n remi, né timone, né provviste, approdarono a Marsiglia, dove santa Marta convertì molti alla fede cristiana. Mentre la santa si dedicava a evangelizzare la Provenza un terribile mostro chiamato Tarasca, devastava quelle terre e uccideva uomini. Quando santa Marta seppe di questa bestia feroce, si recò nei boschi dove l'animale aveva dimora, portando con sé dell'acqua benedetta e pregando intensamente. Scorse la bestia mentre stava divorando un uomo. Con coraggio virile, intinse un rametto d'issopo nell'acqua benedetta e asperse la bestia, tracciando su di essa il segno di Croce. Immediatamente il feroce animale divenne come un agnellino e si mise ai piedi di santa Marta, che lo lego con la propria cintura lo condusse in citta dove fu subito ucciso con lance e pietre. Questa città, in memoria di tale avvenimento, fu chiamata Tarascona. Qui la santa rimase, con il permesso del suo maestro e di sua sorella, vivendo in continua preghiera e digiuni. E in questo stesso luogo, dopo aver eretto un grande monastero di suore ed edificato una basilica in onore della Beata sempre vergine Maria, condusse una vita di aspra penitenza, cibandosi una sola volta al giorno e trascorrendo i giorni e le notti in ginocchio a pregare. Un altro miracolo della Santa è degno di nota. Mentre un giorno predicava la Parola di Dio presso Avignone, tra la città del fiume Rodano, un giovane, che si trovava dall'altra sponda del fiume, desiderando di ascoltare le sue parole e non avendo alcuna barca, si gettò a nuoto nel fiume per raggiungere il luogo dove si trovava la Santa, ma la violenza della corrente lo travolse e il povero uomo annegò. La gente del posto ritrovò il suo corpo il giorno dopo e pensò di portarlo subito ai piedi di santa Marta perché lo resuscitasse. Ella, avendo saputo cosa fosse successo, si mise on le braccia aperte a forma di croce e pregò così il Signore: "Oh Adonay, Signore Gesù Cristo, che un giorno resuscitasti il mio amato fratello, guarda alla fede di coloro che sono qui presenti e risuscita questo giovane". Quindi, lo prese per mano, l'uomo si alzò e ricevette il battesimo. Proprio a Tarascona, nel X secolo fu edificata la prima Chiesa dedicata a Santa Marta e la sua memoria si festeggia il 29 luglio con grande solennità e una tradizionale processione, nella quale viene ripresentato l'episodio in cui Santa Marta ammansisce il drago feroce. Santa Marta, il cui nome in aramaico significa "padrona", è la protettrice delle casalinghe, delle domestiche, degli albergatori e dei cuochi, ma, potremmo dire, è soprattutto la patrona di tutti coloro che sono preoccupati e agitati per molte cose, e dimenticano l'unica cosa necessaria: rimanere in amorosa unione e adorazione dell'Ospite divino Gesù.

24. sep. 2024 - 5 min
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Il beato Schuster

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7924 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7924] IL BEATO SCHUSTER, ARCIVESCOVO DI MILANO di Roberto de Mattei Il 30 agosto sono ricorsi i 70 anni dalla morte del beato cardinale Ildefonso Schuster, monaco benedettino, cardinale di Santa Romana Chiesa e arcivescovo di Milano. Fu battezzato con il nome di Alfredo Ludovico a Roma, dove nacque il 18 gennaio 1880, primogenito di Giovanni, zuavo pontificio di origine bavarese, e della sua terza moglie, Maria Anna Tutzer di Bolzano. A nove anni, perse il padre e per interessamento del barone Pfiffer d'Altishofen, colonnello delle guardie svizzere, venne mandato a studiare presso i benedettini del monastero romano di S. Paolo fuori le Mura. Qui ebbe come maestro il beato Placido Riccardi (1844-1915), rettore dell'abbazia di Farfa, che lo aiuto a discernere la vocazione religiosa. Entrato come novizio nell'ordine benedettino col nome di Ildefonso prese i voti nel 1899, si laureò in filosofia al Collegio di S. Anselmo e nel 1904 divenne sacerdote. Mostrò, fin da giovanissimo, grandi qualità di studioso, nei campi della storia, dell'archeologia, della liturgia, della musica sacra, ma soprattutto si distinse per una grande pietà ed esattezza nell'osservanza della disciplina monastica. Gli vennero perciò affidati importanti incarichi, come il rettorato del Pontificio istituto Orientale e la missione di visitatore apostolico in Lombardia, Campania e Calabria. Il 26 marzo 1918, a soli 38 anni, fu eletto abate del monastero romano di S. Paolo fuori le Mura, incarico che mantenne fino a quando, nel 1929, Pio XI lo scelse come arcivescovo di Milano, creandolo cardinale. Fu il primo vescovo a prestare giuramento di fedeltà davanti a Vittorio Emanuele III, come prevedevano i Patti Lateranensi appena firmati tra Italia e Santa Sede l'11 febbraio dello stesso anno. Il cardinale Schuster osservò una posizione di lealismo nei confronti delle legittime autorità politiche, che in quel momento erano rappresentate dal sovrano sabaudo e dal Duce del fascismo Benito Mussolini. Ciò non gli impedì di resistere ai tentativi di ingerenza del regime fascista nella vita della sua diocesi e di denunciare il razzismo hitleriano come "un'eresia", in una celebre predica dal pulpito del Duomo, il 13 novembre 1938, che suscitò la protesta del regime (Angelo Majo, Schuster, una vita per Milano, NED, Milano 1994, pp. 64-65). UN PASTORE ESEMPLARE Fu un pastore esemplare del popolo a lui affidato. Milano era una diocesi di 1000 parrocchie servite da 2000 sacerdoti. Schuster compì in venticinque anni ben cinque Visite Pastorali, consacrando 280 nuove chiese, ma senza mai mancare alla Messa Capitolare di ogni domenica e di ogni festa. Durante la Seconda guerra mondiale appartenne a quel gruppo di coraggiosi Pastori, come i cardinali Elia Dalla Costa (1872 - 1961), arcivescovo di Firenze, e Antonio Santin (1895-1981), arcivescovo di Trieste, ai quali fu applicato il titolo di "defensor civitatis", per l'impegno con cui difesero la loro diocesi nelle ore più buie del conflitto. Nell'aprile 1945, alla caduta della Repubblica Sociale Italiana, il cardinale propose una trattativa tra i rappresentanti partigiani e Mussolini, ma quest'ultimo invece di consegnarsi agli alleati, preferì partire verso quel confine svizzero dove trovò la morte. Quando i corpi di Mussolini e dei gerarchi fascisti furono esposti a piazzale Loreto, Schuster ne condannò lo scempio e li benedisse per il rispetto che si deve a qualsiasi cadavere. Nel dopoguerra fu eletto primo presidente della Conferenza episcopale italiana e nel 1954, ammalato, si ritirò nel seminario di Venogono, da lui fatto costruire, dove si spense il 30 agosto di quell'anno. Fu beatificato il 12 maggio 1996 da Giovanni Paolo II, che ne fissò la memoria liturgica al 30 agosto. E' sepolto nel Duomo di Milano, dove è continuo il flusso davanti ai suoi resti mortali. Il cardinale Schuster fu sempre e innanzitutto un figlio di San Benedetto, di cui meditò a fondo la Regola, basata sull'Ora et labora. Egli era convinto che questa Regola, che fonde in un armonioso equilibrio la preghiera e l'azione, potesse plasmare la vita non solo dei monaci, ma di chiunque sia disposto a vivere nel mondo, ispirandosi alla spiritualità benedettina.   Prese certamente come modello uno dei suoi predecessori più illustri nel governo della diocesi di Milano, san Carlo Borromeo, ma non bisogna dimenticare, un'altra eminente figura a lui particolarmente cara, il beato benedettino, Giuseppe Benedetto Dusmet, dei marchesi de Smours (1818 - 1894), cardinale-arcivescovo di Catania, pastore amatissimo del popolo della città etnea. RTANTI STUDI SUI SACRAMENTI E SULLA LITURGIA Il cardinale Schuster va ricordato inoltre per i suoi importanti studi sui sacramenti e sulla liturgia, come il Liber Sacramentorum (Marietti, Torino 1919-1929), un commento storico-liturgico in 9 volumi al Messale Romano, frutto delle lezioni tenute presso il Pontificio Istituto di Musica sacra. Il vescovo Cesario d'Amato, che di lui fu successore alla guida dell'abbazia di San Paolo, racconta di aver avuto, per due anni, l'onore di servire la Messa al futuro cardinale nel suo oratorio privato e riferisce che Schuster "[...] subito si metteva allo scrittoio a scrivere rapidamente il commento alla messa del giorno. La maggior parte del Liber Sacramentorum è nata così, per dirlo con una frase che gli piaceva: «sulle ginocchia». Al centro della vita spirituale del cardinale Schuster è Gesù Cristo, Verbo Incarnato e Re della storia. Questo è il titolo delle sue Lezioni di storia ecclesiastica, in cui scrive: "la storia della società cristiana esige (...) un primo principio di azione tutto divino, onnipotente e sapiente che noi ammaestrati dalla Teologia riconosciamo nello Spirito di Colui che ci ha promesso che sarebbe rimasto tra noi sino alla fine dei secoli" (Gesù Cristo nella storia. Benedictina Editrice, Roma 1996, pp. 34-35). Ai seminaristi di Venegono, poco prima di morire, disse: «Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un santo, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio» (Angelo Majo, Schuster, una vita per Milano, p. 32). Vivo o morto. La distinzione è importante. Non sempre infatti nella vita di un santo tutti accorrono al suo passaggio. Sappiamo bene che molti attraversano il proprio tempo, ignoti o incompresi dai più. Ma tutti accorrono al passaggio dei santi dopo la loro morte, amandoli e onorandoli, soprattutto quando la Chiesa ne ha decretato le virtù. Così accade oggi per il beato cardinale Ildefonso Schuster, di cui chiediamo l'intercessione.

18. sep. 2024 - 8 min
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Apostolo del Sacro Cuore e padre spirituale di santa Margherita Maria Alacoque

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7827 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7827] APOSTOLO DEL SACRO CUORE E PADRE SPIRITUALE DI SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE di Roberto de Mattei La devozione al Sacro Cuore che caratterizza il mese di giugno è legata soprattutto alla figura di santa Margherita Maria Alacoque, (1647-1690), suora dell'ordine della Visitazione, fondato da san Francesco di Sales e santa Giovanna di Chantal. Fu a questa umile suora che la Provvidenza affidò un grande rimedio soprannaturale contro una nuova eresia che nasceva nel XVII secolo. Questa nuova eresia era il giansenismo, una corrente religiosa che sul piano dogmatico stravolgeva la dottrina cattolica della grazia, spingendola verso il calvinismo, e sul piano morale rinchiudeva la vita cristiana in un tetro e insopportabile rigorismo. I giansenisti ignoravano il ruolo della misericordia, appellandosi solo alla implacabile giustizia divina. Ma al di là degli errori teologici e morali, la peggiore insidia giansenista stava nel suo tentativo di voler riformare la Chiesa dall'interno e non più dall'esterno, come aveva cercato di fare il protestantesimo. Il giansenismo intendeva rimanere dentro la Chiesa, senza essere condannato, ma cercando anzi la condanna dei suoi avversari che, in quel momento, erano soprattutto i gesuiti, i più fedeli difensori dell'ortodossia romana. I disegni della Divina Provvidenza sconvolsero questo programma di distruzione della Chiesa. Margherita Maria Alacoque, lo strumento di questo straordinario intervento della grazia, nacque in Borgogna nel 1647, e dovette vincere la resistenza dei genitori per entrare, a ventiquattro anni, nelle visitandine del convento di Paray-le-Monial, dove fu incompresa dalle consorelle e malgiudicata dai superiori, finché, nel 1675 fu nominato Rettore del Collegio gesuita di Paray-le-Monial il padre Claudio de La Colombière, che aveva allora 34 anni, ma si era già distinto per la sua pietà e la sua dottrina. D'accordo con il suo Superiore, oltre al voto di obbedienza al Papa, il padre de La Colombière aveva pronunciato quello, eroico, di osservare sotto pena di peccato tutte le regole del suo Ordine UN INCARICO APPARENTEMENTE SECONDARIO I superiori gli affidarono un incarico apparentemente secondario, perché sapevano che nel Monastero della Visitazione, si trovava una religiosa favorita da rivelazioni del Cielo. Margherita Maria, da parte sua, aspettava che il Signore adempisse la promessa di inviarle un suo  "servo fedele e amico perfetto ", per realizzare la missione alla quale la destinava: manifestare al mondo le ricchezze imperscrutabili del suo amore. Giunto nella sua nuova destinazione il padre de La Colombière, incontrò suor Margherita Maria e ne divenne direttore spirituale, orientandola nella sua vita spirituale e suggerendogli di mettere per iscritto tutto ciò che passava nella sua anima. Durante l'ottava del Corpus Domini 1675, Gesù, mostrando il suo Cuore a Margherita, le disse:  "Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e in contraccambio non riceve che ingratitudini, disprezzo, irriverenze, sacrilegi e freddezza in questo Sacramento d'amore ". Quella del giansenismo era una concezione di Dio oppressiva ed angosciante. Il Sacro Cuore appare a santa Margherita Maria Alacoque affermando, invece, che bisogna abbandonarsi al suo Amore, e formulando la grande promessa dei primi Nove Venerdì del mese: "Io ti prometto nell'eccesso della misericordia del mio Cuore che il mio Amore onnipotente concederà a tutti quelli che si comunicheranno al primo venerdì del mese, per nove mesi consecutivi, la grazia della perseveranza finale; essi non morranno nella mia disgrazia, né senza ricevere i Sacramenti, servendo loro il mio cuore di asilo sicuro in quell'ora estrema ". Il Signore disse poi alla religiosa visitandina: "Rivolgiti al mio servo, il Padre de La Colombière, e digli da parte mia di fare il possibile per propagare questa devozione e di fare questo piacere al mio Cuore divino... Sappia che è onnipotente colui che diffida interamente di se stesso per confidare solo in me ". Margherita comunicò il suo messaggio al Padre e tutti e due, il 21 giugno, si consacrarono al Cuore di Gesù e moltiplicarono i loro sforzi per diffondere questa devozione. La loro fu un'inscindibile amicizia spirituale dai frutti straordinari. Dopo un anno e mezzo di permanenza a Paray-le-Monial, nel 1676 il padre de La Colombière fu destinato a Londra, come cappellano della giovane duchessa di York, Maria Beatrice d'Este, nota in Inghilterra come Mary of Modena, perché era figlia del duca di Modena Alfonso d'Este. Maria di Modena aveva sposato Giacomo Stuart, duca di York, che, alla morte del fratello Carlo II, nel 1685, avrebbe regnato con il nome di Giacomo II, fino alla Rivoluzione del 1688, che stroncò la possibilità di una restaurazione cattolica dell'Inghilterra. Giacomo si era segretamente convertito al cattolicesimo, mentre la moglie Maria subiva una dura opposizione a causa della sua fede cattolica. LA MISSIONE A LONDRA Nella Londra ferocemente protestante, esisteva però un'enclave cattolica, che aveva il suo centro nella chiesa di St. James nella Spanish Place dove, dal 1676 al 1679 il padre de La Colombière, predicò, dedicandosi all'istruzione nella vera fede di cattolici o ex-cattolici inglesi. In questa Chiesa sarebbe stato battezzato, due secoli dopo, l'11 ottobre 1865, Rafael Merry del Val, futuro cardinale di Santa Romana Chiesa. Improvvisamente, alla fine del 1678, il padre de La Colombière fu arrestato sotto l'accusa calunniosa di essere coinvolto in uno pseudo "complotto papale ". Fu imprigionato nel carcere di King's Bench, dove restò durante tre settimane, sottoposto a gravi privazioni, ma in virtù della sua posizione a corte e della sua cittadinanza francese, sfuggì alla condanna a morte e fu espulso dall'Inghilterra. Tornò a Paray-le-Monial dove morì, a soli 41 anni, il 15 febbraio 1682. Da quel giorno, nella sua preghiera personale, alle litanie dei santi santa Margherita Maria aggiungeva: "San Claudio, prega per noi! " Nel 1929, Claudio de La Colombière fu beatificato da papa Pio XI e nel 1992 canonizzato da Giovanni Paolo II. La casa editrice AdP ha ripubblicato nel 2023 il suo Diario spirituale, che merita di essere letto da chiunque voglia approfondire la devozione al Sacro Cuore, ma anche da chiunque voglia capire come vivere in spirito di completo abbandono alla Divina Provvidenza. Nel Diario, san Claudio traccia questo programma: "Vivere giorno per giorno. Sperare di morire nell'occupazione che svolgiamo ". Cercare, in una parola, la perfezione nel momento presente, non preoccupandoci del nostro domani e affidandoci ciecamente a Dio. "Mio Dio, - scrive - sono intimamente persuaso che non sarà mai troppa la fiducia che ho in Te e che, ciò che otterrò da Te, sarà sempre al di sopra di ciò che avrò sperato ". Lo spirito di abbandono alla Provvidenza e la devozione ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria, sono più che mai necessari per infondere vita e calore soprannaturale in un'epoca, come la nostra, in cui le anime sembrano così spesso raggelate e prive del fuoco dell'Amore divino.

25. jun. 2024 - 10 min
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