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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8072 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8072] UN RAPPORTO ALLARMANTE SUI CRIMINI CONTRO LE CHIESE IN FRANCIA di Paola Belletti È la comunità ebraica il bersaglio più colpito dall'odio antireligioso in Francia, con un preoccupante 62% di atti antisemiti, contro un 7% di quelli contro i musulmani e un allarmante 31% che ha per destinatari i cristiani. Anche se gli atti contro la comunità cristiana sono diminuiti dal 2023 al 2024, si registra un significativo aumento per due anni di fila degli incendi dolosi contro luoghi di culto, cresciuti anche i furti in chiese e edifici religiosi cristiani. «Meno atti anticristiani, - dunque, riporta Europe 1 - ma più chiese prese di mira. Secondo un rapporto dell'intelligence territoriale consultato da Europe 1, la polizia ha registrato un calo degli attacchi anticristiani lo scorso anno (770 incidenti, -10%). (...) per il secondo anno consecutivo, lo scorso anno le chiese sono state nuovamente prese di mira in modo particolare. Nel 2024 sono stati registrati quasi 50 (...) incendi dolosi contro luoghi di culto cristiani. Nel 2023 sono stati 38, con un aumento di oltre il 30%». Un aumento favorito anche dalle rivolte contro il governo di Parigi scoppiate nel maggio del 2024 nella comunità francese della Nuova Caledonia (arcipelago francese in Oceania, Ndr). Numerose le chiese prese di mira dai rivoltosi e date alle fiamme. In Francia sempre nel corso del 2024 due sono stati gli incendi a danno di chiese e comunità cattoliche: il 2 settembre è stata colpita la chiesa di Saint-Omer che ha visto andare distrutti tetto e campanile; il 3 ottobre è toccato alla chiesa di Saint-Hilaire-le-Grand a Poitiers oggetto di due roghi simultanei e di altri danni materiali alle statue presenti nell'edificio sacro. A offrire questo quadro preoccupante è un rapporto dell'intelligence francese che definisce il fenomeno preoccupante anche per il fatto «che si inserisce in un contesto mondiale di degrado e profanazione del patrimonio religioso francese». Il trend purtroppo riguarda anche i furti: si è passati dai già numerosi 270 del 2023 ai 288 dell'anno da poco concluso, un aumento del 7 %, il che ha significato in media 5 furti nelle chiese ogni settimana. «Le regioni più colpite sono Nouvelle-Aquitaine, Île-de-France, Grand Est, Alvernia-Rodano-Alpi e Occitania, dove sono stati segnalati diversi casi di saccheggi e danni». Anche se prevalgono gli attacchi a edifici e oggetti sacri, non sono mancate azioni contro i fedeli, soprattutto con azioni di disturbo durante le celebrazioni, un fenomeno particolarmente intenso durante il periodo del Natale. Così riferisce un'altra testata, Breizh info: «A Bordeaux, due individui ubriachi hanno causato il caos durante la messa. A Saint-Germain-en-Laye, un uomo ha interrotto una funzione gridando “Allah Akbar” prima di salire sull'altare e mostrare il suo posteriore davanti ai fedeli. Lo scorso anno la minaccia contro i cristiani non si è limitata ad atti vandalici. Il 5 marzo 2024, un uomo di 62 anni, islamista, è stato arrestato dalla DGSI mentre pianificava un attacco a una chiesa. Grazie all'intervento dei servizi segreti la tragedia è stata evitata». Con l'apertura dell'Anno Giubilare le preoccupazioni in merito ai rischi per fedeli e patrimonio culturale sono ancora più elevate. Le autorità raccomandano prudenza e misure di prevenzione, ma resta il grande interrogativo sulle cause profonde di questa violenza e sulle misure non estemporanee per arginarla. Come cristiani sappiamo che alla radice di ogni persecuzione contro tutto ciò che è cristiano, dall'insofferenza fino all'odio più implacabile, c'è quello che Cristo stesso ci ha annunciato. La certezza dell'ostilità al Suo nome e la sicura ricompensa nei cieli per chi avrà perseverato. Di sicuro non significa che chi ha responsabilità di governo possa sottrarsi al grave dovere di impedire e limitare questi attacchi, fosse anche solo per amore della propria nazione e dei beni, materiali e non, che custodisce. Ciò che colpisce, infatti, non è tanto l'odio contro i cristiani di chi cristiano non è - e aspetta senza saperlo l'annuncio del Vangelo -, ma quella sorta di malattia tutta occidentale (del laicismo che ha preso a lungo il sopravvento) che ci vede spesso intenti a soffocare le nostre stesse radici. Nota di BastaBugie: Lorenza Formicola nell'articolo seguente dal titolo "Attentato in Austria, il jihadismo è la nuova normalità europea" spiega che non solo in Francia, ma in tutta Europa l'immigrazione ha avuto conseguenze catastrofiche. Per esempio il recente attentato a Monaco di Baviera da parte di un afghano arrivato in Europa con un barcone. Poi un altro attacco c'è stato a Villaco, in Austria, ad opera di un siriano: sempre in nome di Allah. Un grave errore sarebbe quello di sminuire la matrice islamista. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 febbraio 2025: Dopo la Germania, l'Austria. Dopo Monaco di Baviera - dove in conseguenza delle gravi ferite riportate nell'attentato di giovedì 13 febbraio sono morte una mamma e la figlia di due anni, investite al grido di «Allah Akbar» - la scia di sangue è arrivata a Villaco (Villach), dove è morto un quattordicenne. La città della Carinzia, così vicina all'Italia (tanti italiani di confine la frequentano), è stata dunque il proscenio dell'ultimo attentato con coltello che il terrorismo islamico ha regalato all'Europa. È un sabato pomeriggio ancora sonnolento quello del 15 febbraio, sono circa le 16, a pochi passi da Hauptplatz, la piazza principale di Villaco circondata da negozi e caffè all'aperto; mentre il fine settimana ancora non s'è animato, un siriano di 23 anni si lancia sui pochi passanti con un coltellaccio che stringe nella mano sinistra. Trafigge al cuore un quattordicenne: morirà pochi minuti dopo, dissanguato. Cinque i feriti che combattono tra la vita e la morte in ospedale. Poi un venditore ambulante, pare anch'egli siriano, si mette in macchina per mettere fuori gioco il terrorista, investendolo. Un gesto che ha probabilmente evitato una strage. L'aria, al centro di Villaco, s'è fatta immediatamente cupa. E mentre ancora echeggiava il grido di «Allah Akbar», il giovane attentatore si faceva fotografare sorridente non lontano dal luogo dell'attentato. Poco più in là, vicino al ponte sulla Drava, le immagini diffuse su Internet lo presentano a fissare la fotocamera con un ghigno ostentato, per niente scomposto, mentre, seduto su una panchina e senza una scarpa, persa nella tentata fuga, tiene l'indice della mano destra alzato verso il cielo. È il gesto di omaggio ad Allah, la firma dei jihadisti da ormai tanti anni. Villaco è un città blindata. Un paio di elicotteri delle forze dell'ordine solcano il cielo. La squadra speciale della polizia austriaca è convinta che il siriano se ne sia andato in giro accompagnato. L'atmosfera è inquietante. La città è vuota d'un tratto. Qualcosa più di un film dell'orrore. Fino appunto alla notizia del venditore ambulante che ha investito il terrorista. Sembra ieri quando nel 2020, a Vienna, in quattro vennero uccisi dall'Isis, nel più grave degli attentati in Austria dal 1985. Che avrebbe ceduto il primato se, lo scorso agosto, un tentativo di attentato, targato Stato Islamico, ad un concerto di Taylor Swift non fosse stato sventato in tempo. Ma torniamo a Villaco. «In 20 anni di lavoro non ho mai visto una cosa del genere», ha commentato il portavoce della polizia locale. Il siriano aveva con sé un tesserino che lo identificava come un richiedente asilo e pare vivesse nel centro di accoglienza di Langauen. Devoto di Allah, era un assiduo frequentatore di imam su TikTok. Quelli che, dopo la stretta all'islam decisa da Sebastian Kurz nel 2018, sono diventati abbastanza introvabili in Austria. Nell'abitazione dell'attentatore è stata trovata anche una bandiera dell'Isis. Interrogato, ha ammesso di aver agito proprio in nome dello Stato Islamico. Eppure non era tra i 150 islamisti sotto osservazione del governo di Vienna. Le reazioni politiche non si sono fatte attendere. E pensare che solo la settimana scorsa sono fallite le trattative per un nuovo governo. Il Partito della Libertà (FPÖ, di destra) e il Partito Popolare (OVP, conservatori) non hanno trovato l'accordo per un esecutivo che, comunque, sarà il più a destra dal secondo dopoguerra. Il leader del Partito della Libertà, Herbert Kickl, che ha vinto le elezioni parlamentari a settembre, per la prima volta nella sua storia, ha chiesto «una drastica riduzione del diritto d'asilo». L'Austria ospita una numerosa popolazione di rifugiati siriani, circa 100.000 persone. Dopo la caduta di Bashar al-Assad a dicembre, Vienna ha congelato le domande di asilo pendenti presentate dai siriani, per riesaminare la loro situazione. E ha posto fine ai ricongiungimenti familiari, oltre che inviato almeno 2.400 lettere di revoca dello status di rifugiato. Il Ministero dell'Interno, dal canto suo, ha appena dichiarato che sta preparando «un programma coerente di rimpatrio ed espulsione in Siria». Il governatore della Carinzia, Peter Kaiser, membro dei socialdemocratici, ha chiesto «le sanzioni più severe». Poi ha aggiunto che «l'Austria e l'Unione Europea hanno bisogno di attuare delle direttive molto restrittive in materia di immigrazione e asilo». Ancora una volta, infatti, si tratta di terrorismo islamico legato all'immigrazione. Come a Monaco. Medesima strategia, diversa tattica. L'afghano che ha ucciso a Monaco di Baviera aveva fatto l'ormai ben noto e collaudato iter. Nel 2016, era arrivato con il classico barcone

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8061 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8061] QUANDO LE DEPORTAZIONI PIACEVANO ALLA SINISTRA Nel 1991 un ponte aereo e navale per riportare a casa 20mila immigrati albanesi clandestini... e nel 1997 il blocco navale deciso da Prodi di Bruno Dardani AGOSTO 1991. Il settimo Governo Andreotti con il ministro degli Interni Scotti in prima linea ha deciso di applicare alla lettera la Legge Martelli che vieta l'immigrazione clandestina. Dall'Albania sulla nave "Veolia" arrivano 20.000 fra uomini donne e bambini, che vengono fatti sbarcare nel porto di Bari e gran parte di loro ammassati nello Stadio. In mezzo a loro anche disertori dell'esercito albanese e delinquenti armati. In 4 giorni 20.500 albanesi vengono rintracciati e con metodi che vanno dall'inganno ("Vi portiamo a Roma") al mercanteggiamento (due magliette e un paio di jeans o un biglietto da 50.000 lire) vengono rimpatriati in quello che passerà alla storia come il più grande blitz europeo contro l'immigrazione clandestina. La storia è strana e ogni tanto, se ripescata e riportata a galla, aiuta a capire. All'epoca nessuno parla di "deportation". Anzi a tale fine è utile la rilettura di alcuni brani dell'Unità, organo ufficiale del Partito Comunista Italiano dell'agosto del 1991 che rispetto a questi clandestini che in fondo in fondo non sono graditi neppure alle sinistre che già stato patendo il crollo del comunismo nell'est e poi in Unione sovietica e che non vedono di buon occhio questi profughi in fuga da un Paese iper-rosso. "Nessuno spargimento di sangue. Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo". Così il ministro dell'Interno Scotti commenta sull'Unità l'operazione- rimpatrio completata con il blitz di ieri che ha riportato in Albania disertori e irriducibili. "Avevo detto che non li avremmo accolti e ho mantenuto la promessa" "Stiamo solo portando a compimento un'operazione cominciata il 14 agosto, a Bari…». Una pausa, poi: «Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo: non un morto, nessuno spargimento di sangue: e gli albanesi rimandati a casa». La giornata del grande blitz sta per finire, il ministro dell'Interno guarda ancora una volta appunti e tabelle, controlla i numeri, risponde al telefono. È stanco, stanco e soddisfarlo: dall'alba al tramonto sono stati rimpatriati 2.267 profughi. Prelevati da 14 regioni, sistemati su navi e aerei. Gli irriducibili non hanno avuto il tempo di reagire, tornano a casa. «Avevo detto che non II avremmo accolti, e sto mantenendo la promessa». È una specie di teorema. Il governo aveva deciso di applicare la legge Martelli, che vieta l'immigrazione clandestina. Gli albanesi giunti in Italia erano immigrati clandestini: bisognava rimpatriarli. Tutti. C'è stato qualche problema nello stadio di Bari, in duemila hanno fatto resistenza. Erano armati, sarebbe stato impossibile stanarli senza spargimenti di sangue. Ecco, allora, lo stratagemma: va bene, avete vinto, siete potenziali rifugiati politici, vi accogliamo provvisoriamente, in attesa di accertare la vostra richiesta di asilo. Gli irriducibili ci hanno creduto. Li hanno divisi in piccoli gruppi, rendendoli innocui: due giorni ed è arrivato il blitz di ieri. «Vi portiamo a Roma», hanno detto carabinieri e poliziotti ai profughi. Invece, li hanno portati in Albania. Anche l'ultima bugia e servita ad evitare reazioni, rivolte, «spargimenti di sangue». Un'altra bugia realistica e umanitaria, insomma. L'ennesima: perchè quel «vi portiamo a Roma» poliziotti e carabinieri lo dissero anche ai primi albanesi rimandati a casa, dieci giorni fa. Potrebbe fare da epigrafe a questa immensa operazione di polizia, 7-17 agosto, segnata da piccoli e grandi inganni, stratagemmi, sotterfugi". È il 1991, ma pochi anni dopo un governo di centro sinistra, quello del 1997 guidato da Romano Prodi attua il Blocco Navale in Adriatico proprio per bloccare l'immigrazione albanese e balcanica. il governo ha deciso di usare la linea dura: una cabina di regia formata dallo stesso Prodi, dal ministro dell'Interno Giorgio Napolitano, dal ministro degli Esteri Lamberto Dini e dal ministro della Difesa Beniamino Andreatta, ha dato vita a quello che è poi passato alla storia come un vero e proprio blocco navale del canale d'Otranto abbinato a un decreto per regolare i respingimenti. Il 28 marzo del 1997 una nave militare italiana sperona in acque internazionali la carretta del mare Kater I Rades, provocandone l'affondamento con la morte di oltre cento persone, molte delle quali donne e bambini. Vice Presidente del Consiglio, Walter Veltroni; Ministro degli Interni, Giorgio Napolitano; ministro degli Esteri, Lamberto Dini.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8047 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8047] LA PROTESTA NAZIONALE PER RAMY, CONTRO LA POLIZIA: IL NOSTRO BLACK LIVES MATTER di Stefano Magni Quando un ragazzo egiziano di 19 anni, Ramy Elgaml, è morto a Milano durante un inseguimento dei Carabinieri (non aveva risposto all'alt in un posto di blocco), il quartiere Corvetto, ad alto tasso di immigrati, si era sollevato per due giorni contro la polizia. Era il 24 novembre scorso e il paragone che veniva naturale allora era: come una Banlieue parigina. Dalla settimana scorsa è iniziato il seguito della vicenda e il paragone con la periferia islamizzata francese non regge già più. Stiamo assistendo a un fenomeno diverso, più simile a un altro esempio estero del recente passato: il movimento Black Lives Matter contro la polizia americana. Come mai si è atteso un mese e mezzo per assistere allo scoppio di una nuova ribellione contro la polizia? La causa è la pubblicazione del video delle dashcam (le videocamere montate sulle auto) dei Carabinieri, il 7 gennaio, in cui si può assistere all'inseguimento dello scooter su cui era a bordo Ramy. Nemmeno i filmati, però, dimostrano che Ramy sia stato ucciso. Saranno i periti, nel prossimo processo, a stabilire se si sia trattato di un incidente, o i Carabinieri siano colpevoli. Ma quel che si è visto è stato sufficiente a far scoppiare la nuova rivolta. A fare la differenza, nel movimento Black Lives Matter, negli Usa, è soprattutto l'intervento della sinistra istituzionale, al fianco della piazza. Non è stata una protesta spontanea fine a se stessa, come reazione alla morte di George Floyd, nel maggio del 2020, ucciso da un poliziotto durante un fermo. E l'antirazzismo (George Floyd era un afroamericano, il poliziotto che l'ha ucciso un bianco) non era l'obiettivo principale. Il vero scopo era il "defund the police", togliere i fondi alla polizia. Il passaggio, utopistico, dalla repressione alla prevenzione, dalla politica "legge e ordine" a un welfare totale che elimini le cause sociali della delinquenza. Questo ha reso le violente proteste di Black Lives Matter uniche nel loro genere: al fianco delle piazze violente c'erano sindaci, procuratori e anche governatori di sinistra che davano la loro legittimità istituzionale alle violenze. PAESE CHE VAI, SINISTRA CHE TROVI In Italia stiamo assistendo a qualcosa di molto simile. Oltre alla sinistra antagonista in piazza, la sinistra istituzionale ha subito preso posizione contro la polizia. Le frasi pronunciate da Giuseppe Sala, sindaco di Milano, sono molto più che ambigue: «Certamente le immagini danno un segnale brutto, non c'è dubbio, brutto. Però attendiamo che la giustizia faccia il suo corso. Dal mio punto di vista è chiaro che se qualcuno ha sbagliato deve pagare». Tre frasi: una garantista ("attendiamo che la giustizia...) chiusa fra due sentenze colpevoliste a prescindere. E poi: «Voglio ringraziare un'altra volta il papà di Ramy per l'atteggiamento che oggettivamente è impeccabile. La giustizia faccia il suo corso però mi pare un altro esempio del fatto che quando ce la prendiamo con gli immigrati... Insomma trovare uno (il papà di Ramy, ndr) che dica "c'è un poliziotto buono e uno cattivo ma voglio credere che la maggior parte siano buoni" non è poca cosa». Quindi, per esprimere solidarietà a un padre che ha perso un figlio, Sala ha trovato il modo di stigmatizzare la polizia. Al punto di considerare una lodevole eccezione chi pensa che non tutti gli agenti sono colpevoli. Ad aggiungere il suo peso professionale, oltre che politico, ai commenti di Sala, è stato Franco Gabrielli, consulente del sindaco ed ex capo della Polizia di Stato. Intervistato a Radio24 ha dichiarato: «È sempre facile fare il professore del giorno dopo ma è ovvio che quella non è la modalità corretta con cui si conduce un inseguimento perché c'è pur sempre una targa. Esiste un principio fondamentale ed è quello della proporzionalità delle azioni che devono essere messe in campo per ottenere un determinato risultato: io posso addirittura utilizzare un'arma se è in pericolo una vita ma se il tema è fermare una persona che sta scappando non posso metterla in una condizione di pericolo». Quindi, i Carabinieri non avrebbero dovuto inseguire chi non rispetta l'alt? È importante ricordare queste prese di posizione della sinistra milanese, perché gli effetti sono stati immediati. Queste dichiarazioni risalgono a giovedì 9 gennaio mattina, la sera stessa iniziavano i disordini di piazza. Ad inaugurare il Black Lives Matter italiano è stata, non Milano, ma Torino, a dimostrazione che non si è trattato di una reazione spontanea, ma di un moto politico nazionale organizzato. Nel capoluogo piemontese, un gruppo di antagonisti ha lanciato delle bombe carta contro un Commissariato di Polizia, oltre a uova con vernice. Le forze dell'ordine hanno chiuso le vie che portano verso il centro cittadino e sono stati lanciati contro di loro bottiglie di vetro. Cinque gli agenti feriti. Protagonista dei disordini, l'ormai noto centro sociale Askatasuna, recentemente legittimato dalla visita dell'europarlamentare Ilaria Salis. Un centro protagonista di tutti gli scontri degli ultimi anni contro la polizia a cui il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo (Pd), vorrebbe regalare la sede. SCENE DI GUERRIGLIA URBANA Il sabato sera si sono verificati gli scontri peggiori, a Roma e a Bologna, mentre a Milano la protesta è stata più pacifica: i manifestanti si sono limitati a imbrattare palazzi e strade. A Roma, invece, scene di guerriglia urbana, con negozi vandalizzati e otto agenti feriti. A Bologna è andata peggio: dieci agenti di polizia feriti, barricate e lanci di oggetti contundenti di tutti i tipi. Bologna ha fatto notizia soprattutto perché i manifestanti hanno anche preso di mira gli ebrei locali, imbrattando i muri della sede degli uffici della Comunità, nella via parallela a quella della sinagoga. Avendo così provocato un incidente diplomatico (anche l'ambasciatore di Israele è intervenuto sulla vicenda), almeno in questo caso la sinistra ha stigmatizzato la violenza. Anche in questo caso, la sinistra tace o accusa la destra di "strumentalizzare". Elly Schlein, segretaria del Pd, è intervenuta solo dopo che è stata sollecitata dalla premier Giorgia Meloni. E, oltre a una generica e doverosa condanna alla violenza di piazza, ha chiesto al centrodestra di "non strumentalizzare". La posizione più netta è quella di Alleanza Verdi e Sinistra: contro la polizia. Con il segretario verde Angelo Bonelli che paventa l'introduzione di "norme da Stato di polizia" dietro "il pretesto" delle aggressioni ai poliziotti. Insomma, neppure di fronte a diciotto agenti feriti in una sola sera, di cui otto nella stessa capitale, la sinistra riesce a prendere le distanze dai violenti. Ci sono invece violenze dello stesso tipo che praticamente non hanno fatto notizia, se non nella cronaca locale. A Busto Arsizio (Lombardia, provincia di Varese) i poliziotti sono intervenuti contro due nordafricani esagitati che stavano sfasciando un'auto in un parcheggio. Ma non appena gli agenti sono arrivati sul posto si sono trovati circondati da una folla di immigrati che insultavano la polizia e inneggiavano alla "giustizia per Ramy". Solo l'arrivo di rinforzi ha evitato il peggio. Sono azioni violente che fanno meno notizia, perché spontanee. Ma proprio per questo più pericolose, più incontrollabili e quindi in grado di dilagare. Come Black Lives Matter, appunto. Se la protesta ottiene il suo scopo, quello di criminalizzare e legare le mani alla polizia, gli effetti saranno anche gli stessi che abbiamo visto negli Usa dopo Black Lives Matter. Ovunque i sindaci di sinistra abbiano mantenuto le promesse di depotenziare la polizia, l'ordine pubblico è crollato. Le grandi metropoli amministrate da Democratici sono tornate ad essere luoghi pericolosi, come lo erano negli anni '70. E a farne le spese sono soprattutto i più poveri, quelli che abitano nei quartieri ghetto e che non possono permettersi un servizio di vigilanza privato. Negli Usa hanno così scoperto che lo Stato sociale non può sostituire l'ordine pubblico. In Italia, una parte della politica ci crede ancora.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8030 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8030] SALVINI ASSOLTO, UNA SCONFITTA PER LA MAGISTRATURA di Ruben Razzante La battaglia che i pubblici ministeri di Palermo Marzia Sabella, Geri Ferrara e Giorgia Righi hanno ingaggiato anni fa contro Matteo Salvini era tutta politica e le accuse di sequestro di persona e di rifiuto di atti d'ufficio erano strumentali. La sentenza di assoluzione per il leader della Lega, all'epoca ministro dell'interno, pronunciata ieri sera dal Tribunale di Palermo, restituisce credibilità all'Italia e rappresenta una vittoria del diritto, oltre che del buon senso. Come ha commentato a caldo l'avvocato difensore di Salvini, la senatrice leghista Giulia Bongiorno, si tratta di un verdetto contro chi sfrutta i migranti. Al termine di un processo durato tre anni e che non sarebbe mai dovuto iniziare, è stato chiarito che "il fatto non sussiste" e che Salvini non ha commesso alcun reato ed ha agito nell'esclusivo interesse del suo governo e del suo Paese. Ha semplicemente difeso i confini nazionali dalle attività illecite delle Ong, che speculano sulle vite dei migranti. Invece i pm avevano chiesto per lui una condanna a 6 anni di carcere per rifiuto di atti d'ufficio e sequestro di persona. «Surreali e infondate le accuse a Salvini», ha commentato il premier Giorgia Meloni, esprimendo soddisfazione per il verdetto. Chissà cosa pensano i tanti italiani che non arrivano alla fine del mese e che sanno che per tre anni i loro soldi sono stati impiegati per un processo assurdo e fortemente ideologizzato. Senza considerare le complicità dell'ex premier Giuseppe Conte e degli altri membri del governo dell'epoca, che avevano avallato le scelte coraggiose del ministro Salvini senza manifestare alcuna opposizione e fino a ieri sera dichiaravano ipocritamente di voler rispettare le sentenze dei giudici. La battaglia processuale si è protratta fino a ieri senza esclusione di colpi. «Nell'agosto 2019 - hanno detto nella requisitoria i pubblici ministeri - da ministro dell'Interno Salvini aveva l'obbligo di rilasciare senza indugio alla nave dell'Ong Open Arms il place of safety, il porto sicuro, per 147 migranti soccorsi nel Canale di Sicilia. Invece, lasciandoli a bordo, agì intenzionalmente e consapevolmente in spregio delle regole». L'avvocato di Salvini, la senatrice leghista Giulia Bongiorno, ha replicato chiamando in causa la Ong spagnola: «Open Arms bighellonava in mezzo al mare - ha accusato in udienza - mentre i migranti potevano scendere liberamente» e Salvini "difendeva i confini". [...] La vicenda Salvini-Open Arms rappresenta una brutta pagina della storia nazionale sul piano della credibilità della magistratura italiana e dell'equilibrio tra potere giudiziario e politica. [...] Nota di BastaBugie: Anna Bono nell'articolo seguente dal titolo "Open Arms e Salvini, le verità negate da Avvenire" parla di uno scandaloso editoriale del quotidiano della CEI a commento della sentenza di assoluzione del vice-presidente del Consiglio pieno di menzogne sul tema dell'immigrazione in generale e della vicenda Open Arms e Salvini nello specifico. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 23 dicembre 2024: Quello che l'editoriale del quotidiano della CEI, Avvenire, ha lanciato il 21 dicembre è un attacco al governo italiano, che accusa di una serie di promesse non mantenute, e al vice presidente del Consiglio Matteo Salvini, ma soprattutto è un attacco alla verità, nonostante il titolo: "Salvini assolto, ma c'è una verità da rispettare". «I porti non si possono chiudere - esordisce Danilo Paolini - perché la garanzia di un approdo sulla terra ferma è qualcosa che ha a che fare con il diritto umanitario universalmente riconosciuto, con l'incolumità e la sicurezza di vite». La prima verità è che invece le navi nei porti, come gli aerei negli aeroporti, entrano solo previa autorizzazione, che può essere concessa oppure negata. La seconda verità è che il diritto umanitario è indiscutibile, ma non riguarda il caso della Open Arms e dei suoi passeggeri, la cui incolumità e sicurezza non sono mai state in pericolo. Erano a bordo di una buona imbarcazione, sicura, costantemente monitorata ed erano bene assistiti. Alcuni che accusarono problemi di salute poterono lasciare la nave per ricevere le cure necessarie, altri furono fatti sbarcare perché risultavano essere minorenni: in tutto 64. La terza verità è che il comandante della Open Arms rifiutò qualsiasi alternativa, persino quelle offerte dalla Spagna, Stato di bandiera della nave, che gli aveva proposto di dirigersi verso il porto spagnolo di Algeciras o verso un altro porto nelle isole Baleari e che in alternativa era disposta a trasbordare i passeggeri su un'altra nave spagnola. La quarta verità è che la Open Arms doveva approdare in Italia, non a Malta, non in Tunisia e nemmeno in Spagna perché il nostro Paese era la destinazione scelta dagli emigranti irregolari, privi di documenti, che aveva a bordo e che per questo, per arrivare in Italia, avevano pagato a una delle tante organizzazioni criminali che gestiscono i viaggi illegali dall'Africa e dall'Asia verso l'Europa migliaia di dollari, anche più di 10mila se provenivano dal Bangladesh o da altri Paesi molto lontani. Se così non fosse, se gli emigranti fossero stati disposti a sbarcare in un qualsiasi porto sicuro, allora l'accusa di sequestro di persona andrebbe rivolta ai responsabili della Open Arms che, come ha affermato l'avvocato difensore del ministro Salvini, Giulia Bongiorno, «bighellonava in mezzo al mare» impedendo loro di sbarcare come avrebbero potuto. È convinto - dice del ministro Salvini Avvenire - di avere in questo modo «fermato l'immigrazione di massa, ridotto i morti in mare e difeso la Patria». Ne è convinto perché è la verità (la quinta). Negli anni in cui è stato ministro dell'Interno gli sbarchi sono diminuiti drasticamente: 23.037 nel 2018 e 11.471 nel 2019, mentre prima erano sempre stati molto più che centomila (addirittura 181mila nel 2016) e poi hanno ripreso a crescere. Nel 2019 il numero di emigranti morti nel Mediterraneo, 1.510, è stato di gran lunga il più basso mai registrato. Quanto a difendere la Patria, a quanto pare secondo il quotidiano della Cei farlo è lecito solo se è minacciata «da un invasore in armi» e quelli che arrivano invece sono «bambini, donne e uomini senza armi e senza niente, che rischiano la vita per disperazione, attraversando un mare che può ucciderli (...) perché scappano da guerre, miseria, catastrofi, persecuzioni». Tutti gli Stati del mondo, a tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale controllano i loro confini - perché solo l'Italia non dovrebbe? -, prova ne sia che esiste la Convenzione di Ginevra che fa eccezione per chi chiede asilo, i profughi. Ma, ennesima verità negata, solo una esigua percentuale di emigranti illegali diretti verso l'Italia, e l'Europa, sono in fuga da guerre, catastrofi, persecuzioni e, dato il costo elevato dei viaggi, praticamente nessuno dalla miseria. Lo provano l'elevato numero di richieste di asilo respinte dopo attento e scrupoloso vaglio e l'elenco dei Paesi di provenienza, gran parte dei quali fortunatamente non sono afflitti da guerre, persecuzioni e catastrofi. L'Italia nei mesi scorsi ne ha individuati 19, ma sono molti di più. Per inermi che siano, bambini, donne e uomini non dovrebbero viaggiare illegalmente e poi, mentendo, chiedere asilo. Ma ecco ancora una verità dissimulata: arrivano quasi solo uomini giovani, le donne sono poche, meno del 15%, e meno ancora i bambini. Per il bene di questi ultimi, a questo proposito, meglio sarebbe battersi finalmente perché fosse punito con estrema severità chiunque sia responsabile di metterne a rischio la vita, soprattutto se, come nel recente caso della piccola Yasmine, si consente o si impone loro di imbarcarsi da soli, affidati e alla mercé di estranei. «Ci accingiamo - aggiunge l'editoriale - a festeggiare un Bimbo nato in una stalla 'perché non c'era posto per loro nell'albergo'». Ultima verità: Maria e Giuseppe non sono stati discriminati, respinti, cacciati, non c'era più posto né per loro né per nessuno, gli alberghi e le locande erano semplicemente al completo. «Quel Bambino, divenuto Uomo - conclude - avrebbe poi indicato nello straniero un essere umano da accogliere». "Quel Bambino" ha fatto ben altro. Ci ha insegnato a considerare ogni persona "prossimo" e ad amarla come noi stessi. Recepita pienamente finora solo dalla civiltà occidentale, è la più grande rivoluzione nella storia umana, dalla quale è scaturito il principio che esistono diritti inerenti alla persona, quindi universali e inviolabili. Questo con le persone che viaggiano senza documenti non ha proprio nulla a che vedere.

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7977 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7977] IL VANGELO NON AMMETTE NEUTRALITA' O COMPROMESSI di Roberto Marchesini Per diversi anni ho riflettuto su un atteggiamento ecclesiastico che possiamo definire con due slogan: «Cercare ciò che unisce e non ciò che divide» e «costruire ponti e non muri». Traduco: si può dialogare con la modernità; il Mondo non è pregiudizialmente ostile ai cattolici; gran parte della cultura contemporanea è neutrale, rispetto al Vangelo. C'è quindi la possibilità, se non di evangelizzare il secolo, per lo meno di dialogarci. Con il passare del tempo mi sono convinto che questo atteggiamento sia eccessivamente ottimista e, forse, un po' ingenuo. E mi sono accorto che la soluzione del problema era già data in una lapidaria affermazione evangelica: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12, 30; Lc 11, 23). Parlando con alcuni amici, scettici riguardo alla mia risoluzione, mi è stato fatto notare che nel Vangelo di Marco la frase era diversa: «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9, 40). C'è, dunque, chi non è contro di noi, la neutralità nei confronti del Vangelo è possibile. Non solo: San Paolo afferma che possiamo trovare qualcosa di buono dappertutto: «Vagliate tutto e tenete ciò che è buono» (1Ts 5, 21). Purtroppo queste citazioni non permettono di sostenere la costruzione di ponti. Partiamo dalla prima. Essa è semplicemente una riproposizione della frase di Matteo e di Luca: non ammette una neutralità. Anche per Marco è necessario schierarsi: con Cristo o contro di Lui. Chi non è con Cristo non è neutro: è contro di lui; chi non è contro Cristo non è neutro, è con lui. Cristo divide, chiede di prendere posizione, non ammette neutralità. La stessa cosa vale per san Paolo, il quale invita a vagliare tutto e a tenere ciò che è buono, integralmente buono; non ciò che ha una parte buona. Ricordiamo, infatti, che l'errore ha sempre una parte di verità; e che l'eresia non consiste nel rigetto totale della Verità, ma solo di una sua parte. Ammettere una possibile neutralità nei confronti del Vangelo, inoltre, significa sminuirne l'importanza. L'incarnazione di Cristo ha diviso la storia in prima (a. C.) e un dopo (d. C.); allo stesso modo, ha diviso in due l'umanità e la cultura. È stato un avvenimento così importante che necessariamente richiede che si prenda posizione nei suoi confronti. Sono confortato, nella mia posizione, da due importanti santi della Chiesa che hanno messo in evidenza il significato meta-storico dell'affermazione evangelica. In quella breve frase, infatti, è condensato un intero trattato di teologia della storia e la chiave di lettura per capire il rapporto tra Vangelo e modernità. Partiamo da san Giovanni Bosco, che ha scritto: «L'unica vera lotta nella storia è quella pro o contro la Chiesa di Cristo». È questa lotta che permette di capire tutta la storia dell'umanità, perlomeno degli ultimi cinquecento anni; ed è la storia del conflitto tra la Chiesa di Cristo e il Mondo. Anche Giovanni Paolo II, nell'Evangelium Vitae, ha dato una lettura meta-storica del conflitto tra la luce di Cristo e le tenebre. Nei brani che seguono, il papa polacco sottolinea le implicazioni per la difesa della vita di questo scontro; ma non manca uno sguardo più profondo: «Questo orizzonte di luci ed ombre deve renderci tutti pienamente consapevoli che ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la "cultura della morte" e la "cultura della vita". Ci troviamo non solo "di fronte", ma necessariamente "in mezzo" a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l'ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita (§ 28). [...] Nelle prime ore del pomeriggio del venerdì santo, "il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra... Il velo del tempio si squarciò nel mezzo" (Lc 23, 44.45). È il simbolo di un grande sconvolgimento cosmico e di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la vita e la morte. Noi pure, oggi, ci troviamo nel mezzo di una lotta drammatica tra la "cultura della morte" e la "cultura della vita". Ma da questa oscurità lo splendore della Croce non viene sommerso; essa, anzi, si staglia ancora più nitida e luminosa e si rivela come il centro, il senso e il fine di tutta la storia e di ogni vita umana (§ 50). [...] Maria aiuta così la Chiesa a prendere coscienza che la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre (§ 104)». Giovanni Paolo II scrive di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la luce e le tenebre; e della «l'ineludibile responsabilità» di schierarsi dalla parte del bene e della luce. Chi non prende posizione, semplicemente, permette che il male accada e si diffonda; quindi, nuovamente, chi non è per Cristo è inevitabilmente contro di Lui. C'è poco da illudersi, siamo in guerra. È una guerra totale, senza quartiere, nella quale non ci sono neutrali o indifferenti. Abbandoniamo le ingenuità e le favole disneyane, accettiamo la realtà.
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