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Les mer Stefano Fontana - BastaBugie.it
Approfondimenti del professore Stefano Fontana, direttore dell'Osservatorio internazionale Card. Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa, con particolare riguardo ai principi non negoziabili (vita, famiglia, libertà di educazione)
Famiglia nel bosco, la sussidiarietà violata
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8361 [https://www.bastabugie.it/8361] FAMIGLIA NEL BOSCO, LA SUSSIDIARIETA' VIOLATA di Stefano Fontana Il caso della "famiglia nel bosco" ha una stretta relazione con il principio di sussidiarietà, caro alla Dottrina sociale della Chiesa. Esso dice - vale ripeterlo - che l'autorità politica non deve sostituirsi alle società inferiori, ma lasciare che esercitino il loro dovere/diritto a perseguire il proprio bene. Nel caso esse fossero incapaci o impossibilitate ad agire in proprio, l'autorità politica può intervenire ma solo con spirito di supplenza e operando in modo che esse recuperino tale loro diritto originario, senza sostituirsi ad esse. Quindi l'autorità politica o non interviene e lascia fare, oppure interviene con prudenza e gradualità per permettere alle società inferiori di riacquistare la propria autonomia. Certamente solo nel caso in cui quelle società inferiori abbiano pretese di autonomia giustificate dal rispetto del diritto naturale. Alla base di questa dottrina politica ci sono vari elementi importanti dell'architettura sociale: non esiste un unico bene comune uniformante ed appiattente deciso dal potere politico; la società è organica e ogni organismo naturale deve perseguire il proprio bene comune nel rispetto dell'ordine naturale delle cose; lo Stato e le sue articolazioni sono strumenti a servizio della comunità politica nel suo insieme e delle società naturali e non il contrario. L'ARBITRIO DEL POTERE Un altro aspetto di questo principio da tenere presente è che gli interventi dell'autorità politica fatti in via sussidiaria, ossia di aiuto affinché quel dato organismo sociale possa rimettersi in sesto e tornare a poter fare da sé, non devono avvenire ad arbitrio del potere stesso, ma nel rispetto del diritto naturale. Questo richiede che si distingua tra società naturali e corpi intermedi. La famiglia, una comunità locale o municipio, una nazione... sono società naturali e non semplici aggregazioni di cittadini che perseguono i loro scopi elettivi, ossia da loro liberamente scelti. I loro scopi, infatti, non sono elettivi ma ascrittivi. Gli interventi per dare un aiuto (subsidium) ad una famiglia devono essere svolti rispettando ciò che una famiglia è sul piano naturale, senza disarticolarla. Essa non è un generico insieme di individui, ma una vera e propria società con una propria autorità, un fine da raggiungere consistente nel perseguimento del proprio bene comune, doveri e diritti dei suoi componenti tra di loro e rispetto al resto della comunità che precedono quanto lo Stato stabilisce e dispone. Gli interventi sussidiari da parte del sistema amministrativo devono evitare criteri arbitrari, facendosi piuttosto dettare i criteri dalla natura stessa delle cose, in questo caso dalla famiglia. Si sa per esperienza, purtroppo, che gli apparati amministrativi spesso invertono l'ordine delle cose. Nella nostra società la famiglia viene messa in gravi difficoltà da un sistema legislativo, fiscale, educativo antifamiliare e poi i suoi disagi così indotti vengono affrontati dall'apparato dei servizi pubblici che opera secondo i propri criteri, generando un circolo vizioso. Si danneggia la famiglia e poi la si vuole aiutare senza la famiglia, quindi indebolendola ancora di più. LE DIFFICOLTÀ Nel caso specifico della "famiglia nel bosco" le difficoltà derivanti dalla trascuratezza del principio di sussidiarietà sono emerse con chiarezza. È mancata la visione supplettiva e sussidiaria, mentre è prevalsa quella sostitutiva. La famiglia in questione è l'originario soggetto naturale dell'organizzazione della propria vita in vista del proprio bene familiare. Finché la sua esistenza è condotta senza violare principi di diritto naturale, essa ne ha il diritto e gli apparati pubblici non possono intervenire. Molte motivazioni dell'intervento della magistratura, invece, dipendono non dall'aver riscontrato carenze di questo tipo ma dalla "eccentricità" di quel modo di vivere rispetto ai criteri convenzionali dominanti. Nel caso si riscontrino limiti o impedimenti rimuovibili, allora le società superiori dovrebbero intervenire, ma secondo i principi sopra detti della prudenza, della gradualità, mai sostituendosi alla famiglia. Può essere che quella famiglia avesse bisogno di qualche aiuto, in questo caso si sarebbe potuto intervenire per offrirglielo senza creare con ciò una dipendenza dai sussidi pubblici, ma garantendo la sua libertà nell'ordinarsi al proprio bene. Lo smembramento coatto della famiglia mediante un intervento della magistratura non è rispettoso della originaria e naturale autonomia della famiglia rispetto alle istituzioni politiche. Esso, inoltre, avviene senza alcuna gradualità sia per accertare la reale situazione sia per individuare possibili ambiti di eventuale aiuto sussidiario. Si è trattato di una irruzione dello Stato in una famiglia con caratteri nettamente sostitutivi e non sussidiari.
La gazzarra su Ventotene è la prova del fallimento europeo di oggi
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/i8113 [https://www.bastabugie.it/8113] LA GAZZARRA SU VENTOTENE E' LA PROVA DEL FALLIMENTO EUROPEO DI OGGI di Stefano Fontana Grande gazzarra in aula alla Camera ieri sul Manifesto di Ventotene al punto che il Presidente Fontana ha sospeso la seduta. La premier Giorgia Meloni è stata chiara e dura su quel documento, dissociandosene dicendo «nella manifestazione di sabato a piazza del Popolo e anche in quest'aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti il Manifesto di Ventotene: spero non l'abbiano mai letto, perché l'alternativa sarebbe spaventosa». Durante le manifestazioni romane per l'Europa di sabato scorso era riemerso il Manifesto di Ventotene come guida ideale per i partecipanti. Dal palco di piazza del Popolo, Corrado Augias aveva detto: «Oggi questa piazza è di nuovo Ventotene». Ventotene è stato il bollino di qualità posto sulla manifestazione, evidentemente accettato anche dalle associazioni cattoliche presenti. Però se si va a rileggere il Manifesto "Per un'Europa libera e unita" che Spinelli, Rossi e Colorni hanno scritto esuli nell'isola di Ventotene nel 1941 si capisce che ben poco è accettabile di quanto propone. In quelle righe, tra l'altro, si leggono puntualmente le premesse per il fallimento europeo di oggi. Un primo elemento del Manifesto è di avere carattere rivoluzionario nel preciso senso socialista del termine: «La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista». La democrazia per cui ci si deve battere è vista come uno strumento di questo obiettivo rivoluzionario e non come il fine dello stesso. Il Manifesto supera il concetto comunista di rivoluzione, sia perché condanna la violenza fisica, sia perché ritiene che in quel modo la classe operaia rimarrebbe chiusa in se stessa e non si collegherebbe con le rivendicazioni degli altri ceti, sia perché sarebbe un modo per allarmare preventivamente i conservatori e permettere loro di organizzarsi per evitarla. IL SOCIALISMO DI VENTOTENE Il Manifesto non usa parole dolci verso il comunismo: i comunisti «nelle crisi rivoluzionarie, [sono] più efficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie costituiscono nei momenti decisivi un elemento settario che indebolisce il tutto». Nonostante ciò, però, il socialismo di Ventotene concorda con gli obiettivi rivoluzionari di fondo del comunismo. Basti considerare cosa dice dell'abolizione della proprietà privata: «La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio». La negazione del diritto naturale alla proprietà privata rimane, ma deve essere perseguita in modo dolce. Il progetto si colloca sulla linea che verrà battuta anche dal comunismo postbellico italiano di un socialismo che accetta la democrazia come strumento della rivoluzione, non come alternativa alla rivoluzione. Il carattere rivoluzionario di Ventotene è diretto ad eliminare le nazioni dalla scena politica. La cosa viene fatta pregiudizialmente mediante l'equazione: nazione, nazionalismo, totalitarismo. La sua analisi dei totalitarismi di allora risente dell'animosità del momento e per questo è poco lucida, risente però anche della posizione ideologica assunta, con l'errore conseguente di considerare i totalitarismi come eccezione alla civiltà moderna anziché, come è stato dimostrato, come sua accelerazione. Il Manifesto mette in guardia dalla restaurazione, dopo la guerra, dello Stato nazionale che, secondo le previsioni dei due autori, avverrà mediante la strumentalizzazione del sentimento patriottico. Lo scopo, invece, deve essere «la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in Stati nazionali sovrani». La lettera e lo spirito del Manifesto inducono a pensare che questo superamento della nazione non debba essere limitato ad una situazione e ad un tempo, ma che abbia una dimensione europea avendone una globale - «in cui diventi possibile l'unità politica dell'intero globo» - e che miri anche al superamento del concetto di patria. Il suo progetto di un'Europa federale ha questi inquietanti connotati. LA DEMOCRAZIA È UN INGOMBRO Rossi, Spinelli e Colorni vogliono quindi la rivoluzione socialista. Accettano in via di principio la democrazia, ma la considerano anche un ingombro nei momenti di tensione politica. Un concetto, questo, espresso in modo molto chiaro: «Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi». Quando il popolo fosse immaturo e diviso al proprio interno, guidato da «tumultuose passioni» più che dalla freddezza politica, «la metodologia democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria». Da qui al passaggio alle guide politiche illuminate è breve. Il popolo dovrà essere fatto oggetto di opera di convinzione dall'alto da «capi che guidino sapendo dove arrivare». Quest'opera di convinzione e guida deve passare anche dalla lotta alle pretese della Chiesa cattolica. Il Manifesto propone l'abolizione del concordato, l'affermazione della pura laicità dello Stato e la supremazia dello Stato sulla società civile. In altri termini: un nuovo dirigismo ideologico. Dalla lettura del Manifesto emergono molte preoccupazioni più che fiduciose sicurezze. Di più: molti dei danni prodotti dall'Unione Europea derivano proprio da quelle impostazioni debitamente aggiornate. I "capi" guidano dall'alto senza essere eletti, gli intellettuali organici all'europeismo di Ventotene indottrinano le masse, il laicismo delle élites di Bruxelles è diventato aria da respirare per la gente comune, la "sovranità assoluta degli Stati nazionali" ha assunto dimensioni europee, un "ceto assolutamente parassitario", che il Manifesto voleva eliminare col federalismo europeo, ha allignato proprio lì. Anche il "burocratismo" e, oggi, il "militarismo" che a Ventotene venivano presentati come la peste, riemergono in sede europea "... per costruire un largo Stato federale, il quale disponga di una forza armata propria al posto degli eserciti nazionali". Nota di BastaBugie: Eugenio Capozzi nell'articolo seguente dal titolo "Il feticcio di Ventotene e l'europeismo verticistico delle sinistre" spiega perché la Meloni, citando Ventotene, ha mostrato impietosamente i limiti di quello che è diventato un "feticcio", un mito politico, dopo il crollo del modello comunista: l'europeismo. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 24 marzo 2025: Leggendo nell'aula di Montecitorio alcuni passi palesemente illiberali del Manifesto di Ventotene redatto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, e dichiarando che «questa non è la nostra Europa», Giorgia Meloni ha toccato veramente uno dei nervi più scoperti e sensibili della sinistra italiana. Perché ha mostrato impietosamente i limiti di quello che negli ultimi decenni è diventato un "feticcio", un mito politico, dopo il crollo del modello comunista: l'europeismo, declinato non tanto come modello di assetto politico-istituzionale, ma come dogma religioso, visione escatologica secolarizzata di una possibile redenzione collettiva. Come sono stati declinati il multiculturalismo, l "dirittismo", l'ambientalismo "gretista". Hanno formalmente ragione quanti sostengono, criticando i modi dell'intervento della presidente del Consiglio, che un documento storico come il Manifesto dovrebbe essere adeguatamente contestualizzato per comprenderne il significato e il valore. Ma, appunto, una valutazione storica implica un esame critico, un'analisi che porti a distinguere "ciò che è vivo e cià che è morto" in esso, per dirla con la formula di Benedetto Croce. E questo è esattamente il contrario della mitizzazione che la cultura politica progressista da tempo fa del Manifesto, elevato in blocco a "testo sacro" supremo dell'ideale europeista. Ed è assolutamente incompatibile con l'indignazione, le lacrime, le accuse di "blasfemia", addirittura le richieste di mea culpa rivolte a chi si permette di evidenziare come molte delle idee espresse in quel testo siano in contraddizione con un modello di democrazia liberale fondato sulla limitazione rigorosa del potere, sul pluralismo e sulla sovranità popolare. Se si vuole comprendere adeguatamente il Manifesto di Ventotene nel suo contesto storico, allora, va sottolineato innanzitutto che il pronunciamento di Spinelli, Rossi e Colorni non fu né il primo né l'unico programma per la costruzione dell'unità o del federalismo europeo nella sua epoca. Esso si inseriva, viceversa, all'interno di un vasto movimento politico-culturale in quella direzione, iniziato alla fine della prima guerra mondiale e proseguito fino alla fine della seconda. Che, a partire dal trauma profondo causato da quei conflitti e dall'ascesa dei regimi dittatoriali, indicava nel superamento strutturale della contrapposizione tra le nazioni europee la via per arrivare alla pace, e per salvare i princìpi di fondo della civiltà del continente. Se proprio si vuole cercare un "padre fondatore" in questo senso lo si può trovare proprio in Italia, in Luigi Einaudi, che tra il 1918 e il 1919 nelle sue "Lettere di Junius" sul Corriere della Sera contestava l'internazionalismo della Società delle Nazioni per invocare un ordinamento federalista che archiviasse definitivamente, a tutti i livelli dell'organizzazione politica, lo Stato modernocome unica autorità legittima riconosciuta e l'idea della sovranità assoluta. Tra le due guerre
Mattarella presidente, dieci anni di fallimenti
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8107 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8107] MATTARELLA PRESIDENTE, DIECI ANNI DI FALLIMENTI di Stefano Fontana Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha appena compiuto 10 anni di mandato. È stato eletto il 31 gennaio 2015 e rieletto il 29 gennaio 2022. Dati i cambiamenti avvenuti nell'esercizio di fatto della presidenza della Repubblica, sempre meno notarile e sempre più politica, la durata di sette anni stabilita dalla Costituzione è troppo lunga, figuriamoci poi 10 o 14 anni nel caso di un secondo mandato come in questo caso. Se il Presidente fa il notaio allora i problemi non ci sono, ma se fa il politico, se nell'esercizio di fatto del suo potere avvicina l'Italia ad una repubblica presidenziale, se gestisce la prerogativa di sciogliere il Parlamento in base a valutazioni politiche e non solo istituzionali, se rimbecca indirettamente i governi sul loro operato, se interviene sulla composizione dei governi stessi con un potere contrattuale, allora un mandato così lungo è un peso per la nazione. La presidenza Mattarella sembra godere di un favore quasi generale, ma l'ombra (troppo) lunga del suo mandato ha complicato, piuttosto che agevolato, i processi politici nel Paese. DRAGHI, L'UOMO DEL PRESIDENTE Mattarella ha tenuto duro a lungo prima di concedere le elezioni politiche, proseguendo sulla strada avviata da Giorgio Napolitano. Dopo le dimissioni di Matteo Renzi a seguito della bocciatura del referendum costituzionale, non ha sciolto il Parlamento ma ha accettato - e concordato - il governo fotocopia di Paolo Gentiloni nel dicembre 2016, con quasi tutti i ministri precedenti. Quando nel 2019 il governo giallo-verde di Conte e Salvini entrò in crisi, Mattarella favorì il Conte-bis con l'ingresso nella coalizione di governo del Partito Democratico, che era stato sconfitto alle precedenti elezioni politiche del 4 marzo 2018 e che ora tornava in pista. Quando nel 2021 anche questo secondo governo Conte entrò in crisi, ancora una volta Mattarella non sciolse il Parlamento, ma chiamò Mario Draghi, che ripropose gran parte dei precedenti ministri, tra cui il contestatissimo ministro della Sanità Roberto Speranza. E intanto il Partito Democratico continuava a governare. Non c'è dubbio che, prima di sciogliere le Camere, il Presidente debba verificare se ci siano nuove maggioranze, però la gestione di questo principio costituzionale è avvenuta in modo chiaramente politico, perfino designando un "uomo del Presidente" come Draghi. E gli italiani, alle elezioni del 2022, lo hanno indirettamente denunciato. LO SCANDALO PALAMARA Sempre sul piano politico, ma inteso in senso più ampio, Mattarella compì due gravi errori a proposito dello scandalo Palamara e a proposito della cosiddetta pandemia da Covid-19. Il Presidente della Repubblica è presidente di diritto del Consiglio superiore della magistratura. Il cosiddetto scandalo "Palamara", dal nome dell'allora membro di questo organo costituzionale, aveva messo in luce un sistematico accordo tra i vertici del Partito Democratico e il Consiglio stesso sulla nomina nelle principali e più calde Procure del nostro Paese. Si sa che il partito erede del PCI ha costruito negli anni legami organici soprattutto con tre centri di potere: sindacati, scuola e università, magistratura. Infatti, oggi è proprio da questi nuclei di potere che emergono i principali attacchi al governo Meloni. Ebbene, non risulta che il Presidente della Repubblica abbia detto e fatto granché per denunciare e contribuire a risolvere quella scandalosa concertazione sulle nomine nelle Procure. IL BIENNIO COVID L'altro ambito fallimentare è stato il biennio Covid. Mattarella, nel messaggio alla nazione di fine anno 2020 ha affermato che «vaccinarsi è un dovere». All'università di Pavia, il 5 settembre 2021, ha rincarato: «Non si invochi la libertà per sottrarsi alla vaccinazione, perché quella invocazione equivale alla richiesta della licenza di mettere a rischio la salute altrui e in qualche caso di mettere in pericolo la vita altrui». Il 31 dicembre 2021, nel discorso di fine anno, ha aggiunto: «Rifiutare il vaccino è un'offesa a chi non l'ha avuto». Ancora il 4 ottobre 2022, egli ha confermato la sua linea: «La pandemia non è definitivamente sconfitta, anche se l'azione dei vaccini e la risposta responsabile degli italiani ne hanno frenato l'espansione». Oggi sappiamo come sono andare veramente le cose per cui non possiamo dimenticare che il Presidente ha tollerato, in quella occasione, violazioni dei diritti costituzionali come hanno poi testimoniato gli esiti di tanti ricorsi, un potere esorbitante assunto dalla Presidenza del Consiglio, decisioni governative di occultazione dei dati e di manipolazione delle informazioni, oltre ad aver condiviso l'uso ideologico della scienza e il mancato rispetto di alcuni elementari principi di legge naturale. Il tragico fenomeno degli "effetti avversi" non ha meritato nemmeno una nota dal Quirinale. Una prestazione decisamente fallimentare, la sua. Sergio Mattarella è cattolico. Quando è stato eletto, la Bussola non era contenta, avrebbe preferito un non-cattolico ben sapendo che il nuovo Presidente, per la sua formazione, avrebbe disconosciuto le ragioni stesse dell'impegno pubblico dei cattolici in quanto tali. Il rispetto delle istituzioni sarebbe stato l'unico vangelo. E infatti nel 2016 il Presidente Mattarella firma la legge Cirinnà sulle unioni civili comprese quelle di coppie omosessuali. Il suo essere cattolico cedeva il passo al suo essere Presidente. Il messaggio che egli ha dato ai cattolici in questi dieci anni è sempre stato questo, che poi è il messaggio dei cosiddetti cattolici democratici di origine dossettiana. Dieci anni, destinati a diventare 14, sono troppi, si diceva all'inizio. Nel frattempo, il mondo è cambiato, le posizioni di Mattarella sono state sconfessate - si pensi al suo europeismo stantio -, emergono dalla memoria i rimpianti e i rimorsi.
Le elezioni in Germania e in Romania: la democrazia come finzione
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8094 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8094] LE ELEZIONI IN GERMANIA E IN ROMANIA: LA DEMOCRAZIA COME FINZIONE di Stefano Fontana La democrazia europea dimostra sempre più di avere alla base una finzione. Le recenti elezioni politiche in Germania lo hanno evidenziato ancora una volta. I partiti che hanno perso andranno con grande probabilità al governo con il partito che ha vinto. Chi ha preso solo una manciata di voti ottiene lo stesso risultato di chi ha fatto il pieno. Era successo così anche a seguito delle elezioni del Parlamento europeo. Anche in quel caso socialdemocratici e verdi, molto ridimensionati alle urne, sono stati cooptati nella maggioranza di Strasburgo e nel "governo" (le virgolette nel caso dell'Unione europea sono d'obbligo) di Ursula von der Leyen. C'è poi il fatto che, data ormai la grande astensione dal voto per una diffusa disaffezione diversamente motivata, chi viene eletto raccoglie solo una piccola parte dell'elettorato. Le percentuali di consensi che i partiti sbandierano riguardano non gli aventi diritto al voto ma quanti si sono recati alle urne, quindi sono la maggioranza sì ma di una minoranza, ossia minoranza anch'essi. Il principio di maggioranza è diventato il principio di minoranza. A questo si aggiunge il problema del "parlamentarismo", un vanto delle democrazie europee ma che si regge anch'esso su una finzione. Il parlamentarismo, principio secondo il quale la centralità della vita politica starebbe nel parlamento, permette quello che è successo a Strasburgo e che probabilmente succederà a Berlino, vale a dire gli accordi per stabilire una maggioranza cooptando i perdenti. È evidente che tutto questo sfilaccia la democrazia e il bello è che lo fa democraticamente. CHI PERDE GOVERNA Non si deve pensare che queste magie democratiche, per cui chi perde governa, siano casuali. Alla loro base c'è una finzione, anzi più di una, che ne caratterizza la natura. Se non viene riveduta a fondo, la nostra democrazia non può che essere una finzione. Uno dei filosofi della politica che hanno influenzato in modo particolare la democrazia europea recente è stato Hans Kelsen. Egli era un giurista e un politologo "positivista", negatore dell'esistenza di un diritto naturale. Era anche dell'idea, come Max Weber, che i valori fossero solo atti di volontà, e fautore di una "dottrina pura del diritto", ove per "pura" egli intendeva appunto una dottrina priva di valori e derivante solo da una Grundnorm, o norma fondamentale, semplicemente posta dal potere. Nella sua opera La democrazia, risalente agli anni Venti del XX secolo, Kelsen giustifica una prima finzione, ossia il passaggio dalla democrazia diretta alla democrazia partecipativa. Si tratta di una finzione perché la volontà di tutti viene ceduta alla volontà di alcuni, ritenuti, appunto tramite la finzione, ugualmente espressione della volontà generale. È vero che per Rousseau la volontà generale non è sinonimo di maggioranza numerica né della espressa volontà di tutti, ma per una visione positivista come quella di Kelsen dovrebbe essere così, perché altrimenti si cadrebbe nelle mani di valori assoluti indipendentemente dal voto dei cittadini come avviene nei totalitarismi. LE TRE FINZIONI Quindi prima si è costretti a fingere che la volontà di chi si reca alle urne abbia il valore della volontà di tutti, e poi si è costretti a fingere che la volontà degli eletti rappresenti la volontà di tutti. Si tratta di una doppia finzione procedurale che, secondo Kelsen, non contraddice i presupposti democratici perché renderebbe applicabile nel concreto il patto iniziale col quale i cittadini hanno fondato la società. Così, però, emerge un'altra finzione, anzi la finzione fondamentale, perché questo supposto patto, con cui tutti i cittadini avrebbero dato vita alla società sottoponendosi ad una norma fondamentale posta dal potere in loro nome, non è mai esistito. E così nel novero delle finzioni siamo arrivati addirittura a tre. Di tutte e tre, la principale è quest'ultima, perché è quella fondativa, le altre vengono di conseguenza. Agli inizi della moderna Dottrina sociale della Chiesa, pontefici come Leone XIII avevano messo in evidenza come la democrazia liberale fosse una finzione. Avevano detto che l'errore originario era di fingere che il popolo fosse "moderatore di se stesso", in quanto origine e fondamento, tramite un presunto patto, della vita sociale. In base a questa finzione, chi è sottomesso all'ordine sociale sarebbe anche l'autore di quello stesso ordine. In questo modo si pensava di dare tutto il potere al popolo, ma poi si finse che degli eletti dal popolo ugualmente esprimessero per convenzione il volere del popolo, si finse anche che questa delega fosse valida anche se fatta da un'esigua minoranza, e che fosse pienamente democratica anche se fatta da un'aggregazione qualsiasi – nata in parlamento – di partiti diversi. L'artificio originario del popolo moderatore di se stesso si prolungò quindi nelle altre finzioni convenzionali fino agli esiti delle elezioni tedesche dei giorni scorsi. Scriveva Kelsen: «L'unità del popolo rappresenta un postulato etico-politico che l'ideologia politica assume come reale con l'aiuto di una finzione tanto universalmente accettata che ormai non si pensa più di criticare». Sarebbe invece il caso di riprendere a criticarla. Nota di BastaBugie: Luca Volontè nell'articolo seguente dal titolo "Romania, Georgescu arrestato a tre mesi dal voto. Non è democrazia" racconta cosa sta succedendo in Romania in una democrazia europea, democrazia per modo di dire. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 28 febbraio 2025: Non è democrazia, non è Stato di diritto ciò che sta accadendo in Romania in vista delle auspicabili elezioni presidenziali, ormai oggetto di appropriazione indebita da parte delle burocrazie europee e delle camarille socialiste, liberali e centriste del paese. L'Europa che si è risentita, a torto, delle parole di JD Vance, dovrebbe ora e prima che sia troppo tardi, fare un serio esame di coscienza. Non è con l'eliminazione politica o giudiziaria dei partiti e candidati delle destre popolari e patriottiche e finanche dei semplici dissenzienti verso le imposizioni centraliste di Bruxelles che le istituzioni europee possono rifiorire, anzi il modo di procedere degli ultimi mesi in Romania è un chiaro ritorno ai metodi sovietici e totalitari contro i quali l'Europa stessa è nata. Diverse persone, tra cui il potenziale ri-candidato alla presidenza rumena Călin Georgescu, sostenuto anche dal partito conservatore Aur, sono state arrestate e mercoledì 26 febbraio sono state effettuate numerose retate nelle proprietà dei suoi collaboratori, tra cui la sua guardia del corpo personale Horaţiu Potra, ex capo di un gruppo mercenario in Africa. Georgescu, che si è candidato come indipendente alle elezioni presidenziali dell'anno scorso, si era assicurato una sorprendente vittoria al primo turno di votazioni a novembre, come abbiamo descritto su La Bussola. Tuttavia, dopo le semplici accuse, tutt'ora senza alcuna prova che le sostengono, di interferenza russa, la Corte costituzionale della Romania aveva prima validato il voto, successivamente e anche su pressione europea, aveva annullato i risultati e annullato il secondo turno di votazioni. Le interferenze antidemocratiche e le violazioni della sovranità popolare erano considerate così 'naturali, che l'ex commissario europeo Thierry Breton aveva ammesso, in un'intervista televisiva alla emittente francese Bfm Rmc del 9 gennaio che la Corte costituzionale rumena (Ccr) era stata condizionata nella sua scelta di annullare le elezioni presidenziali grazie alle pressioni dell'Ue e solo solo perché al primo turno era in vantaggio il candidato di destra, euroscettico e contrario al continuo rafforzamento della Nato, Călin Georgescu. Infine, dopo le dure critiche di JD Vance a Monaco e alla Cpac dei giorni scorsi sul caso romeno del 14 febbraio e, pochi giorni prima, la visita di dell'incaricato di Trump per le missioni speciali Richard Grenell a Bucarest, come abbiamo descritto su La Bussola, con le dimissioni del Presidente Klaus Iohannis del 10 febbraio pareva che la situazione del paese e, soprattutto, la garanzia di trasparenza e rispetto delle regole democratiche per il voto presidenziali del prossimo maggio fosse garantita. Tutt'altro, le vicende accadute ieri gettano una coltre di nebbia sull'intero sistema democratico rumeno e accrescono i sospetti delle formidabili complicità delle istituzioni europee per impedire che si svolga un voto libero e democratico e venga eletto dal popolo un Presidente della Repubblica scelto dagli elettori. Sconcertanti le grida di giubilo delle ambasciate di Francia, Germania e Paesi Bassi che hanno pubblicato giovedì 27 febbraio sulla piattaforma X, messaggi di sostegno e fiducia nel sistema giudiziario della Romania e nel rispetto dei valori democratici. Ebbene, le accuse rivolte a Georgescu sono tanto gravi quanto generiche e, per alcuni aspetti ridicole. La Procura generale ha annunciato ieri l'avvio di un procedimento penale contro Călin Georgescu che è indagato per incitamento ad azioni contro l'ordine costituzionale (manifestazioni di piazza che da dicembre si svolgono per chiedere il ripristino del voto presidenziale), false dichiarazioni sulle fonti di finanziamento della campagna elettorale e promozione di idee fasciste e legionarie. Questi i reati di cui è accusato nel dettaglio: Incitamento ad azioni contro l'ordine costituzionale, diffusione di informazioni false, fa
Cattolica e radicale, le incompatibili identità della Roccella
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8022 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8022] CATTOLICA & RADICALE, LE INCOMPATIBILI IDENTITA' DELLA ROCCELLA di Stefano Fontana Il ministro per le pari opportunità e la famiglia, Eugenia Roccella, ha rilasciato una lunga intervista a La Stampa su tanti argomenti connessi con il suo ruolo nel governo Meloni: donne, famiglie, figli, natalità, rapporti tra maschi e femmine. Il cuore dell'intervista è però lei stessa e la sua identità che così sintetizza: «femminista, cattolica, radicale, di destra». Roccella osserva a questo proposito che «non si capacitano di come io possa essere radicale e cattolica: chissà per quale delle due cose mi odiano di più», per poi precisare meglio: «Il femminismo è la mia vera, profonda appartenenza identitaria». Quindi: radicale, cattolica, di destra... ma prima di tutto femminista. Noi non nutriamo odio verso di lei per queste sue proclamate identità, però ci permettiamo qualche osservazione sulla possibilità di questi accostamenti: radicale, cattolica, femminista. Più volte Roccella si è detta radicale raccontando la sua storia personale, da ultimo nel romanzo Una famiglia radicale (Rubbettino), libro che doveva presentare a Torino ma è stata censurata da gruppi sociali estremisti. Ma è stata radicale oppure è radicale? L'intervista conferma che lo è stata e ancora lo è. Elogia le battaglie radicali degli anni Settanta quando, a differenza di adesso, a suo dire "il confronto restava aperto e possibile", rivendica di essere stata allieva di Ida Magli e di aver collaborato con lei per la depenalizzazione dell'aborto, elogia la legge 194 che considera una legge «equilibrata», dice di aver votato a favore della legge 40 sulla fecondazione assistita, difende tuttora quella legge anche dopo le sue trasformazioni giurisprudenziali, considerando che permette un uso della «tecnologia dentro uno schema di generazione naturale» nel senso che «Lo Stato ti aiuta se hai un problema, non consente ciò che in natura non è possibile». Non sempre in questi ragionamenti tutto fila liscio, ma una cosa emerge in modo chiaro: Roccella non solo è stata ma è radicale. RADICALISMO & LIBERTÀ Ora, in cosa consiste il radicalismo? Come dice la parola stessa, esso consiste nel condurre alle estreme conseguenze - alla radice appunto - il concetto assoluto della libertà. Cosa rende assoluta la libertà? La sua separazione dalla verità e da un ordine naturale e finalistico delle cose, attuata nella forma della identificazione tra libertà e volontà. Il radicalismo esprime una volontà priva di ragioni. Considerato in questo modo essenziale, il radicalismo è completamente incompatibile con la fede cattolica. Questa, infatti, esige che la ragione si muova per conoscere questo ordine naturale in quanto frutto della creazione divina e, così facendo, si apra a Dio stesso e alla sua provvidente volontà salvifica. Accettare il divorzio, l'aborto e la fecondazione artificiale, appoggiare un femminismo radicale che investe la donna di una libertà addirittura precedente al suo essere donna, significa negare l'esistenza di un ordine naturale su queste materie così importanti per la vita umana e sociale. Qualcuno però potrebbe sostenere che di radicali ce ne sono di diverse specie. Infatti, nessun movimento politico è uniforme ed omogeneo ma articolato in diverse correnti più o meno, ci si passi il bisticcio, radicali. L'ideologia iniziale e fondativa, l'archetipo originario - si dice spesso - è una cosa, mentre i movimenti storici che da esso derivano sono un'altra cosa ed è possibile che essi si allontanino dalla matrice o che, addirittura, la rovescino. La storia cambia e l'adattamento alle nuove situazioni può corrompere la rigidità dogmatica delle origini. Questo potrebbe essere il caso anche di Eugenia Roccella. Vediamo alcuni esempi. RADICALE BUONA? Nell'intervista di cui ci stiamo occupando, il ministro afferma che «l'aborto esula dal territorio del diritto». Una simile affermazione può essere vista come espressione di un radicalismo moderato o addirittura di nuovo conio, lontano dalle intransigenze ideologiche di Pannella, Bonino, Cappato o Magi. Su questa base si potrebbe fondare la battaglia affinché esso non venga contemplato nella Costituzione e infatti Roccella si dichiara contraria a questa ipotesi. Allora - si può pensare - lei sarà anche radicale, ma una radicale "buona" o almeno moderata e di buon senso. Il suo essere radicale sarebbe sostenibile anche per un cattolico. Un altro esempio è costituito dalla posizione verso la legge 40 già vista sopra: quella legge sarebbe valida perché inserirebbe l'intervento tecnico in laboratorio «dentro uno schema di relazione naturale». Questa espressione può venire intesa come la conferma del riferimento a quell'ordine naturale e finalistico di cui parlavo sopra e collocare in pieno il ministro Roccella dentro la visione del realismo cattolico. Le stesse cose si possono dire per il suo femminismo, dato che Roccella appartiene a quella corrente del femminismo che combatte la prescrizione della parola "donna" da parte dei gruppi LGBT e denuncia l'attuale "frammentazione della gravidanza" tramite la compartecipazione di più persone al concepimento e, con l'utero in affitto, anche alla gestazione. Roccella è una radicale "diversa", però si dice sempre radicale. Il fatto è che non è vero che i movimenti storici allentino sempre l'ideologia originaria o se ne distacchino positivamente, liberandosi dai suoi errori. Molto più spesso i movimenti storici finiscono per realizzare meglio gli obiettivi ideologici proprio perché li separano da inutili zavorre, riuscendo così ad essere più penetranti proprio perché meno avvertiti. Le socialdemocrazie hanno realizzato in modo più radicale gli obiettivi del socialismo, solo hanno chiesto più tempo. Roccella se la prende contro la rarefazione delle famiglie e la solitudine educativa, però rimane convinta della bontà del divorzio e dell'aborto che le ha prodotte. Si dice preoccupata della denatalità ma dice nulla sull'aborto che ne è la causa principale. Dice che l'aborto si colloca al di fuori del diritto ma ammette la 194 che invece lo tira dentro al diritto in modo sbagliato. Rimane radicale e femminista però sembra esserlo un po' meno degli altri e, proprio per questo, apre nuove strade al radicalismo, perfino avvalorandolo come cattolico. Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "Roccella certifica la resa al credo arcobaleno" conferma quanto sostenuto da Stefano Fontana nel precedente articolo. Ecco l'articolo completo di Tommaso Scandroglio pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 dicembre 2024: Il ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella, intervenuta a novembre all'incontro Per merito, per amore, per libertà organizzato da Fratelli d'Italia a Riccione, così ha dichiarato: «vorrei chiarire una cosa: essere un buon genitore prescinde ovviamente dall'orientamento sessuale». Lasciamo perdere il fatto che c'è una montagna di studi che provano il contrario e veniamo ad altro, al fatto che nell'immaginario comune la Roccella è un'integralista cattolica e questo ci dimostra quanto i più ne sappiano di cattolicesimo; che elogiare l'omogenitorialità per un ministero che si occupa della natalità è come elogiare la resa per il Ministero della Difesa; che quell'«ovviamente» è la certificazione che non solo la salvezza non verrà dalla politica e non solo ormai il tasso di corruzione culturale in seno alla destra difficilmente si distingue da quello in seno alla sinistra, ma che il sole dell'omosessualità dovrà per sempre splendere sopra le nostre teste e guai a farsi ombra; che il politicamente corretto è diventato il doverosamente corretto; che le prove di buona condotta di fronte al Supremo Tribunale LGBT non sono mai sufficienti per uscire dal carcere dell'omofobia e che il giuramento di fedeltà al credo gaio deve essere ripetuto più volte in ogni sede pena l'ostracismo e lo stigma sociale; che l'ossessione arcobaleno condiziona ogni uscita pubblica di ogni personaggio pubblico; che indietro non si torna perché la lezione che l'amore è amore al di là degli orifizi usati per dimostrarlo è stata ampiamente, democraticamente, estensivamente, massicciamente assimilata da tutti, dall'infante al ministro della Repubblica italiana; che gli attuali principi non negoziabili sono l'esatto opposto degli autentici principi non negoziabili; che la realtà non va in direzione opposta alla politica, ma sta addirittura su un altro pianeta di un'altra galassia e ruota secondo altre orbite; che se la sana educazione prescinde dall'orientamento sessuale noi prescindiamo dal ministro Roccella; che il vero buon genitore avrebbe molte cose da dire al Ministro della Famiglia; che ormai siamo convinti che l'evidenza è stata ridotta ad un mistero orfico, patrimonio esclusivo di pochissimi adepti. E così sia.
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