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13 episoder>con Danilo Ruggieri< Secondo incontro del ciclo "Il futuro ha un cuore antico. A 100 anni dalla fondazione dell'Unione Sovietica". Il periodo che tratteremo nel secondo appuntamento sul ciclo dedicato alla storia dell’URSS, nel centenario della sua fondazione, è particolarmente importante per i comunisti e tutti coloro che onorano la storia del movimento comunista e dei paesi socialisti per due essenziali ragioni. La prima contrastare la ricorrente e ossessiva campagna antisovietica e anticomunista che dal 1989 in poi permea la vita sociale e culturale nel nostro paese come in tutto l’occidente capitalista. La narrazione tossica dell’imperialismo ci racconta sistematicamente che l’URSS fu uno sbaglio, una tragedia per i popoli russi e non che vissero e morirono per la costruzione del socialismo. Le grandi conquiste dell’URSS vengono sistematicamente negate, nascoste, la storia viene violentata al fine di sottolineare e far entrare nel senso comune l’idea che l’unico mondo possibile e giusto è quello delle “democrazie” delle élite occidentali. Il fatto che nell’URSS già negli anni venti esistesse la legislazione sociale e sul lavoro più avanzata del mondo, che le donne godessero dei pieni diritti politici e sociali, che fosse l’istruzione universale considerata un obiettivo primario per tutti sono considerate inezie o vanno semplicemente nascoste sotto tonnellate di fango. L’URSS non è stato solo un sistema politico antagonista al capitalismo, ma è stata una civiltà che si è opposta in ogni campo all’imperialismo nelle sue varie forme. La concezione politica e sociale che guidava ed educava un sesto dell’umanità aveva come valori e pratiche fondamentali: la lotta per l’eguaglianza sociale, l’internazionalismo proletario, il progresso e avanzamento sociale per uomini e donne senza alcuna distinzione di razza, lingua e nazionalità. Per lungo tempo questa è sempre stata la bussola che ha orientato anche nei momenti più duri, difficili e contraddittori la storia dell’URSS. La lotta per il socialismo e per la sua edificazione è stata durissima, in condizioni per lungo tempo di totale accerchiamento, e con un’arretratezza di fondo enorme, ma è stata portata avanti senza mai perdere di vista la difesa della società socialista e senza mai venire meno al contributo internazionalista. Questo è avvenuto fra mille problemi, errori e anche degenerazioni. Qui veniamo al secondo punto dell’importanza di questo appuntamento. A noi spetta non soltanto la difesa della storia dell’URSS ma anche un bilancio critico di quest’esperienza, nei limiti dati dalla nostra coscienza, consapevolezza e capacità politica del tempo presente. Si tratterà di indagare le vie percorse del periodo più discusso, difficile e rivoluzionario di questa storia, la costruzione concreta, effettiva del socialismo in URSS e la grande prova dei popoli sovietici contro l’occupazione nazista nella Seconda guerra mondiale. Con questo spirito ci apprestiamo a condurre questo appuntamento senza nessuna presunzione e certezze granitiche ma sapendo che L’URSS continua ad essere una miniera di insegnamenti per i comunisti e i progressisti di tutto il mondo.
>con Massimiliano Piccolo< Primo incontro del ciclo "Il futuro ha un cuore antico. A 100 anni dalla fondazione dell'Unione Sovietica". La rivoluzione aveva già dimostrato la possibilità dell’inversione storica, l’Ottobre aveva infatti spazzato via un passato feudale e premoderno, ponendo le basi del primo stato socialista della storia e – contemporaneamente – di una teoria della storia e di una pratica rivoluzionaria non ingenuamente storiciste. Pochi mesi dopo, dalle colonne della Pravda, Lenin sostenne la superiorità del principio democratico di una repubblica fondata sui soviet rispetto al modello liberale. Scongiurato così il rischio che l’Assemblea Costituente, dopo la vittoria elettorale (soprattutto nelle campagne) dei socialrivoluzionari, potesse revocare i decreti dei soviet, i bolscevichi poterono firmare la pace col trattato di Brest-Litovsk. Ma il processo rivoluzionario non si esaurisce con la presa del Palazzo d’Inverno così come le forze controrivoluzionarie non erano annichilite d’un tratto: nell’estate del 1918, la cosiddetta ‘Armata bianca’, guidata dagli ex generali di Nicola II con il sostegno di numerose potenze straniere, si adoperò per tentare di riportare il Paese alla monarchia. Contro il contagio delle idee rivoluzionarie, governi e classi dominanti appoggiarono così apertamente le armate reazionarie. Sconfitto pure il tentativo di far fallire la rivoluzione attraverso la guerra civile, la nuova costruzione politica, statale e istituzionale può essere avviata con tutte le difficoltà ma anche la ricchezza di un grande sforzo nel comprendere e nel praticare la svolta rappresentata da una fase di transizione così epocale, come aveva colto bene J. Reed nei 10 giorni che fecero tremare il mondo. In questo modo, il marxismo, grazie a Lenin e agli altri dirigenti rivoluzionari, può mostrare a generazioni intere l’importanza di un approccio dialettico e non dogmatico che trova le soluzioni adatte nel confronto con la singolarità di un caso specifico, con l’irruzione di un evento irripetibile per definizione. Il comunismo di guerra prima e la NEP dopo ne sono una dimostrazione.
> con Massimiliano Piccolo < "A tutto Marx!": un nuovo ciclo di Accademia rebelde dedicato alla formazione politica di base. Apriamo con due incontri su Marx, a partire dai testi più "popolari" (nel duplice senso di "famosi" e scritti per il "popolo" degli operai) di Marx, dal Manifesto agli scritti economici (Lavoro salariato e capitale e Salario, prezzo e profitto ). In questo primo incontro parleremo del Marx che incrocia politica e storia sotto la lente del "materialismo storico". Marx non era né uno storico né un filosofo della politica. Se per storico intendiamo una ben determinata figura professionale d’intellettuale ricurvo sulle fonti e col distacco algido dello scienziato pretestuosamente neutrale, allora proprio no. Allo stesso modo Marx rappresenta un unicum nel panorama filosofico non perché abbia proposto un progetto politico, quanto piuttosto per il fatto che, nel corso degli anni, interi Stati, entità nazionali e movimenti vari si sono costituiti richiamandosi esplicitamente alle sue teorie Come scrisse Engels : “Così come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della storia umana e cioè il fatto elementare, finora nascosto sotto l’orpello ideologico, che gli uomini devono innanzi tutto mangiare, bere, avere un tetto e vestirsi prima di occuparsi di politica, di scienza, d’arte, di religione, ecc.; e che, per conseguenza, la produzione dei mezzi materiali immediati di esistenza e, con essa, il grado di sviluppo economico di un popolo e di un’epoca in ogni momento determinato costituiscono la base sulla quale si sviluppano le istituzioni statali, le concezioni giuridiche, l’arte ed anche le idee religiose degli uomini, e partendo dalla quale esse devono venir spiegate, e non inversamente, come si era fatto finora. Ma non è tutto. Marx ha anche scoperto la legge peculiare dello sviluppo del moderno modo di produzione capitalistico e della società borghese da esso generata”. Marx, dunque, è senza dubbio il filosofo della lotta di classe e della rivoluzione e non solo.
> con Danilo Ruggieri < L’ultimo appuntamento del ciclo di formazione su "Lenin e lo Stato" è dedicato al testo “L’estremismo malattia infantile del comunismo” scritto nell’aprile del 1920 da Lenin in vista dell’importante appuntamento del II Congresso della Terza Internazionale tenutosi a Mosca e Pietrogrado tra il luglio e l’agosto del 1920. E’ un testo che ha suscitato nella storia del movimento comunista internazionale discussioni e divisioni anche profonde, un testo che sintetizza sia i risultati raggiunti dal bolscevismo nella storia russa sia definisce anche i caratteri principali della necessaria bolscevizzazione dei partiti comunisti europei. E’ uno dei contributi più importanti allo sviluppo della scienza rivoluzionaria nel novecento. Se vogliamo indicare un tema centrale di questo scritto sta nel trattare la scienza politica della strategia e della tattica in un momento storico in cui l’onda della rivoluzione tende a rifluire. Questo scritto precede di pochi mesi l’elaborazione della Nep e il processo di consolidamento interno del potere bolscevico uscito vittorioso dall’assedio controrivoluzionario ma anche stremato dalla guerra con i bianchi sostenuti dal mondo capitalista. Per Lenin si deve quindi da una parte costruire su solide basi la nuova Internazionale, che si definisce a partire dalle 21 condizioni per l’ammissione al Komintern, noto come processo di bolscevizzazione dei partiti comunisti, dall’altra sul piano interno bisogna lavorare a ricostruire un paese totalmente disfatto dalla guerra. Si deve fare un passo indietro per farne alcuni avanti. Da qui nasce il discorso di Lenin sulla ritirata. In questo testo forse più di altri, si misura il carattere profondo e concreto della capacità leninista di fare bilancio della propria storia e definire con metodo materialista l’analisi concreta della situazione concreta scevra da illusioni e desideri ideologici. Nonostante il testo presenti, com’è inevitabile, una parte superata dalla storia come la polemica con il comunismo di sinistra tedesco olandese e italiano, in larga parte possiede una forte vitalità teorica e politica, riesce ancora a parlare ai comunisti del XXI secolo e in particolare al movimento comunista occidentale, che in realtà non è mai riuscito a sciogliere alcuni temi trattati nell’estremismo. Dal nodo parlamentarista al rapporto tra fermezza strategica e flessibilità tattica, e in particolare la mancanza di una linea di massa rivoluzionaria che di fatto ha impedito alla soggettività rivoluzionaria nel novecento di fare il proprio Ottobre. Riportiamo questo passo di Lenin dall’Estremismo perché ci indica il punto di riflessione su cui concentrare il momento formativo in questo prossimo appuntamento: “I partiti rivoluzionari devono portare a termine la loro istruzione. Hanno imparato a condurre l’offensiva. Bisogna adesso capire che questa scienza deve essere integrata da un’altra scienza, da quella che insegna come ritirarsi in buon ordine. Bisogna capire – e la classe rivoluzionaria impara a capire in base alla sua amara esperienza – che non si può vincere senza aver appresa la scienza dell’offensiva e la scienza della ritirata.” Partiremo da questo spunto per tracciare le linee generali e particolari di questo importante testo della teoria leninista.
>con Angelo D'Arcangeli> Secondo appuntamento del ciclo "Lenin e lo Stato" Scritto nel 1902 in vista del II Congresso del Partito operaio socialdemocratico russo (POSDR), svoltosi tra Bruxelles e Londra e caratterizzato da un forte contrasto interno proprio sulla natura del partito, il testo ne illustra in modo organico la concezione leninista, gettando le basi per la costruzione di quel partito bolscevico che, proprio per le sue caratteristiche ideologiche e politiche, fu in grado di guidare la prima rivoluzione socialista vittoriosa nella storia dell’umanità e l’edificazione del primo paese socialista. Se Marx ed Engels avevano scoperto le leggi oggettive di sviluppo dell’umanità e avevano mostrato il funzionamento della società capitalista e indicato la prospettiva del comunismo, Lenin con il "Che fare?" sviluppa, innova e rivoluziona la riflessione sulla natura e sul ruolo del partito nella rivoluzione socialista. La rottura con il populismo russo è netta: non si tratta di costruire un’organizzazione clandestina dedita agli attentati contro nobili e rappresentanti del governo. Ma bisogna ricavare e usare il meglio di questa lunga tradizione cospirativa. Aspra è anche la polemica con chi esalta lo spontaneismo, contrapponendolo con l’organizzazione, e che dietro la “libertà di critica” in realtà vuole scimmiottare la socialdemocrazia europea, con il suo melmoso gradualismo e il suo inconcludente parlamentarismo. Non sfugge alla critica leninista neanche chi sostiene, dietro la scusa di non staccarsi dalle masse, che l’organizzazione rivoluzionaria deve essere una semplice trade-union, un sindacato che si limita a promuovere le lotte rivendicative e ad appiattirsi ai “bisogni immediati e concreti delle masse”. Contro tutte queste correnti e deviazioni, per Lenin si tratta di costruire un partito d’avanguardia, un vero e proprio Stato maggiore della classe operaia in lotta per il potere. Con due caratteristiche principali: • “senza teoria rivoluzionaria non può esserci movimento rivoluzionario”: il partito deve essere guidato dalla concezione comunista del mondo, armato del materialismo dialettico e storico, deve avere i piedi ben piantati nell’analisi concreta della situazione concreta e, su questa base, deve portare la coscienza rivoluzionaria alla classe operaia, la quale da sola può arrivare al massimo ad una concezione rivendicativa; • il partito deve essere strutturato su una ferrea disciplina e sul rispetto delle norme che regolano l’attività cospirativa, deve essere composto da quadri e da rivoluzionari di professione temprati nell’attività rivoluzionaria e dediti alla causa, tribuni del popolo che conducono una vasta azione di propaganda, agitazione, organizzazione e mobilitazione nella classe operaia e nel resto delle masse popolari. L’opera di Lenin offre molti strumenti utili per la nostra “cassetta degli attrezzi” e, anche, numerosi spunti per riflettere su natura e ruolo del partito comunista. Ne ragioneremo assieme senza scadere nello schematismo e nel dogmatismo. Ma consapevoli che la costruzione di un partito comunista all’altezza dei compiti che la situazione pone è una questione strategica fondamentale nella lotta per il socialismo.
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