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L'intelligenza artificiale cinese fa tremare l'America

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8079 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8079] L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE CINESE FA TREMARE L'AMERICA di Stefano Magni   Liang Wenfeng, giovane imprenditore cinese, pareva solo un sognatore sempre spettinato e dall'aspetto trascurato. Nessuno lo aveva preso sul serio, finché non ha lanciato sul mercato DeepSeek, la risposta cinese a Chat GPT, un programma di intelligenza artificiale (IA) generativa più potente dell'originale americano, ma molto più economico. E nei mercati è iniziato il panico, come dimostra il crollo dei titoli delle società legate all'IA, a partire da Nvidia, il 27 gennaio. «Abbiamo sempre visto l'intelligenza artificiale come qualcosa che arriva dall'Occidente», ha dichiarato Liang. «Ma perché dobbiamo essere solo fruitori e non protagonisti?». Il suo approccio mira a rivoluzionare la competizione fra Cina e Occidente: «La maggior parte delle aziende cinesi copia e adatta, noi vogliamo creare. Per troppo tempo, l'innovazione è stata vista come un lusso. Ma oggi la Cina ha le risorse per investire in ricerca di base». Amato dal Partito (almeno per ora), molto autarchico (ha assunto solo cinesi nella sua impresa), Liang ha però confezionato un prodotto che non è dissimile dalle altre copie cinesi di prodotti inventati in Occidente. Possono essere migliori o peggiori, costare meno, ma non si tratta di un cambio di paradigma, solo di una versione aggiornata di un'invenzione americana. STUPEFACENTE Quel che fa tremare le aziende statunitensi all'avanguardia è semmai il costo e il tipo di sviluppo. Nel 2021, Liang Wenfeng ha iniziato la sua impresa acquistando unità di elaborazione grafica Nvidia per addestrare la sua chatbot a rispondere a ogni domanda. I suoi stessi soci non gli credevano. Per elaborare un programma così sofisticato, finora, sono occorse risorse ingenti che solo Open AI, Google, Meta, Amazon ed X si sono potuti permettere. La nascita di DeepSeek è la dimostrazione che anche una startup può farcela, con materiali facilmente reperibili sul mercato e a circa il 4% dei costi. L'altra sfida è il tipo di sviluppo: mentre i colossi statunitensi tengono gelosamente per sé le versioni più avanzate dei loro programmi generativi, Liang Wenfeng ha reso subito open-source i suoi. Come sia stato possibile un tale risparmio di tempo e denaro è ancora oggetto di studio. Non ha funzionato la strategia di Biden, protezionista, che consisteva nel limitare e controllare la vendita di chip alla Cina. Non è stata efficace, sia perché Liang Wenfeng ha iniziato a lavorare al suo progetto (acquistando le unità da Nvidia) prima dell'inizio delle sanzioni, sia perché ha in parte aggirato il problema della mancanza di velocità di calcolo dei suoi chip, con un metodo di addestramento più innovativo e razionale. L'analista Lennart Heim, della Rand Corporation, lo spiega così al Wall Street Journal: «Immaginate le prime versioni di ChatGPT come un bibliotecario che ha letto tutti i libri della biblioteca. Quando gli viene posta una domanda, fornisce una risposta basata sui molti libri che ha letto (...) DeepSeek ha adottato un altro approccio. Il suo bibliotecario non ha letto tutti i libri, ma è addestrato a cercare il libro giusto per trovare la risposta dopo che gli è stata posta una domanda». Una tecnica di ricerca diversa, dunque, che permette di risparmiare sulla velocità dei chip e sull'energia consumata. LA PRIMA DECISIONE DI TRUMP: PIÙ LIBERTÀ AGLI SVILUPPATORI Come risponderanno adesso gli Usa? La prima decisione di Trump, nel campo dell'Intelligenza Artificiale è stata quella di rimuovere controlli e restrizioni imposti da un ordine esecutivo dell'amministrazione Biden. In base a quell'ordine, le aziende che sviluppano modelli di IA che pongono un "serio rischio" per la sicurezza nazionale, la sicurezza economica o la salute e la sicurezza pubblica avrebbero dovuto informare le autorità di regolamentazione quando addestrano i loro modelli e condividere i risultati dei test di sicurezza. Trump sta invece iniziando a dare più libertà agli sviluppatori: un approccio molto più rischioso, ma anche molto più orientato allo sviluppo. Se finora la Cina era rimasta indietro nella competizione sull'IA è infatti a causa della sua struttura troppo dirigista, rigida e controllata dal Partito Comunista che impone vincoli ideologici. La creatività individuale, alla base del successo di Liang Wenfeng, è comune in America, ma in Cina è l'eccezione. E il controllo del Partito tuttora pesa sullo sviluppo della nuova DeepSeek: chi scrive ha provato a chiederle cosa sia successo il 4 giugno 1989 a Tienanmen e la risposta, prevedibile, è stata «Scusa, ciò va oltre il mio scopo. Parliamo di qualcos'altro».  (In compenso, la nuova chatbot cinese conosce molto bene La Nuova Bussola Quotidiana e, alla domanda su cosa sia, ha dato una risposta impeccabile. La Cina è vicina...). Nota di BastaBugie: Daniele Ciacci nell'articolo seguente dal titolo "Ucraina, banco di prova per l'intelligenza artificiale militare" parla della guerra in Ucraina, primo conflitto nell'era dell'IA. Sia i russi che gli occidentali stanno sviluppando sistemi sempre più autonomi. Ma così la guerra è sempre meno umana. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 29 gennaio 2025: La guerra in Ucraina sta catalizzando una rivoluzione tecnologica nell'industria bellica globale, portando a una rapida innovazione nei sistemi di armamento sia sul fronte russo che su quello occidentale. Mentre l'aeronautica militare russa sta migliorando le proprie capacità attraverso avanzati sistemi di difesa aerea e nuovi impieghi dei suoi jet da combattimento, gli Stati Uniti e i loro alleati stanno implementando intelligenze artificiali nei droni per trasformare la guerra in un'attività per procura. Questa competizione tecnologica rappresenta non solo un cambio di paradigma, ma anche una pericolosa accelerazione dell'escalation militare. L'aeronautica militare russa è stata coinvolta in numerose innovazioni tecnologiche, come dimostrato dall'adozione del sistema S-500 Prometheus, un'avanzata tecnologia di difesa aerea progettata per neutralizzare minacce come missili ipersonici e aerei stealth. Il primo reggimento S-500 è stato schierato per difendere il ponte che collega la Crimea alla Russia, un'infrastruttura strategica vitale. Parallelamente, i piloti russi continuano a utilizzare caccia come il Su-27 Flanker, pur aggiornati per affrontare le nuove armi occidentali impiegate in Ucraina. L'integrazione di radar potenziati, contromisure elettroniche e missili avanzati riflette uno sforzo costante di Mosca per mantenere la superiorità aerea in un teatro di guerra sempre più complesso. Questi sviluppi mostrano come la Russia stia evolvendo le proprie capacità belliche per adattarsi a un ambiente caratterizzato dalla crescente potenza delle armi occidentali. Sul fronte occidentale, gli Stati Uniti stanno utilizzando l'Ucraina come laboratorio per testare sistemi di droni dotati di intelligenza artificiale. Secondo un articolo pubblicato su Lawfare, la sperimentazione di droni autonomi sta avanzando con velocità, con tecnologie che permettono alle macchine di identificare e colpire obiettivi in autonomia o in sciami coordinati. Questo sviluppo, sebbene efficace in battaglia, solleva interrogativi etici significativi sull'autonomia decisionale delle macchine in ambito bellico. Un report dell'Atlantic Council sottolinea come l'Ucraina rappresenti un banco di prova essenziale per i droni intelligenti, con progetti come lo sviluppo di missili guidati da AI e sistemi anti-drone progettati per affrontare sciami nemici. La combinazione di queste tecnologie potrebbe ridefinire completamente il modo in cui i conflitti vengono combattuti, rendendo l'intervento umano diretto sempre meno necessario. La guerra in Ucraina ha fatto da acceleratore a una rapida evoluzione dell'industria militare. Entrambe le parti del conflitto, così come i loro alleati, stanno impiegando risorse ingenti per sviluppare sistemi sempre più sofisticati. La Russia, ad esempio, punta non solo al potenziamento dei sistemi di difesa, ma anche all'innovazione nella robotica militare e nell'integrazione AI nei suoi sistemi terrestri. Allo stesso modo, l'Occidente si muove nella stessa direzione, con un forte impegno per superare i limiti attuali delle tecnologie belliche e aumentare l'efficacia delle proprie forze sul campo. Questo fenomeno evidenzia una realtà preoccupante: i conflitti moderni sono sempre più tecnologici e meno umani. Se da un lato ciò può ridurre il numero di vittime tra i soldati, dall'altro contribuisce a una spirale di armamenti sempre più letali e disumanizzanti. L'escalation tecnologica nel contesto bellico non è priva di conseguenze. L'uso di sistemi autonomi basati su intelligenza artificiale e di armi sempre più avanzate pone questioni etiche di fondamentale importanza. Chi decide il grado di autonomia concesso a un drone in battaglia? Quali sono le responsabilità quando una macchina causa vittime civili? Inoltre, la rapidità con cui vengono adottate nuove tecnologie belliche rischia di alimentare una corsa agli armamenti senza precedenti, in cui le nazioni rivali cercano di superarsi a vicenda sviluppando sistemi sempre più sofisticati. Questa dinamica potrebbe sfociare in conflitti più devastanti, compromettendo ulteriormente la stabilità globale. Mentre la Russia rafforza il proprio arsenale aereo e difensivo, l'Occidente sperimenta droni intelligenti e altre tecnologie dirompenti. Questa accelerazione tecnologica, sebbene strategicamente ri

11. feb. 2025 - 10 min
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Intelligenza artificiale i segnali di un suo secondo inverno

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8054 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8054] INTELLIGENZA ARTIFICIALE, I SEGNALI DI UN SUO SECONDO INVERNO di Gaetano Masciullo   Il progresso tecnologico dell'intelligenza artificiale ha dominato negli ultimi anni il dibattito pubblico, alimentato da promettenti dichiarazioni di scienziati e imprenditori che intravedono la possibilità di raggiungere la superintelligenza. Eppure, uno scenario diverso potrebbe attendere il futuro di questo settore: un nuovo "inverno", simile a quello vissuto tra il 1974 e il 1990, quando le aspettative smisurate portarono a una drastica riduzione dei finanziamenti e dell'interesse nella ricerca sull'intelligenza artificiale. Per comprendere le ragioni di questa possibile svolta e prepararci alle implicazioni, è fondamentale analizzare i segnali attuali e le prospettive future del settore. Il cosiddetto "inverno dell'intelligenza artificiale" di allora fu il risultato di speranze irrealistiche nei confronti delle capacità delle macchine di comprendere il linguaggio naturale, risolvere problemi complessi e apprendere in maniera autonoma. Solo con l'avvento del Deep Learning e l'utilizzo dei Big Data nei primi anni Duemila, l'intelligenza artificiale riuscì a riprendersi da quel periodo di stagnazione. Oggi, però, alcuni segnali indicano che il settore potrebbe trovarsi nuovamente sull'orlo di un rallentamento. Un problema cruciale che si delinea è la crescente scarsità di dati di alta qualità per addestrare i modelli di intelligenza artificiale. Questa scarsità non solo riduce l'efficacia degli algoritmi nel fornire risposte accurate, ma può anche portare a risultati distorti o non generalizzabili. Ad esempio, nei settori medici, la mancanza di dati rappresentativi potrebbe compromettere la capacità dell'intelligenza artificiale di supportare diagnosi precise per pazienti con condizioni meno documentate. Nonostante l'apparente infinità di informazioni disponibili su Internet, queste risorse possiedono un limite. Ilya Sutskever, co-fondatore di OpenAI e figura di spicco nel campo del Deep Learning, ha recentemente sottolineato come i dati utilizzati per addestrare i modelli siano sempre più spesso derivati da altre intelligenze artificiali, piuttosto che da fonti primarie. Questo circolo vizioso rischia di compromettere la qualità dell'apprendimento automatico, in quanto i sistemi potrebbero limitarsi a rielaborare informazioni già "digerite", anziché espandere effettivamente le proprie capacità. I DATI DISPONIBILI ONLINE SONO SPESSO INQUINATI DA ERRORI Ray Kurzweil, nonostante sia uno dei più importanti transumanisti oggi viventi, sostiene che la tecnologia intelligenza artificiale, a differenza di Internet e delle telecomunicazioni, progredisce secondo cicli più lunghi: due decenni di entusiasmo iniziale, seguiti da un decennio di delusione, infine un decennio e più di boom dovuto a scoperte innovative. Analizzando la storia recente dell'intelligenza artificiale, abbiamo avuto un periodo di entusiasmo iniziale (1954-1974), la delusione dell'inverno dell'intelligenza artificiale (1974-1990), infine il boom che procede da allora. Quindi, secondo i calcoli di Kurzweil, noi ora saremmo verso la fine della fase del boom, che ha introdotto un nuovo entusiasmo che probabilmente sarà presto disilluso. A complicare le cose, bisogna ricordare che i dati disponibili online sono spesso inquinati da errori, faziosità e disinformazione, e la crescente dipendenza da altri algoritmi per generare nuovi contenuti potrebbe amplificare questi problemi. A lungo termine, l'incapacità di accedere a dati freschi e affidabili potrebbe rallentare drasticamente lo sviluppo tecnologico nel campo. Al di là delle difficoltà tecniche, vi è una barriera ancora più fondamentale che l'intelligenza artificiale non potrà mai superare (e che i suoi promotori si rifiutano di approfondire seriamente): la sua incapacità di cogliere concetti universali e significati generali, un'operazione che l'intelletto umano compie per riconoscere quelle che in filosofia vengono chiamate "essenze", oltre che i principi comuni. L'intelletto umano, infatti, opera in tre fasi principali: astrazione, giudizio e ragionamento. Fin dalla tenera età, un bambino impara prima a riconoscere essenze universali (il concetto di "albero", per esempio), per poi utilizzarle nel giudicare ("l'albero è verde"), infine ragionare ("se l'albero è verde, allora è in salute"). L'intelligenza artificiale, invece, segue il processo opposto: è stata sviluppata a partire dal ragionamento, si cerca oggi di affinarne il giudizio, ma non potrà mai accedere alla capacità di astrazione. Ecco la differenza! L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE È INCAPACE DI APPRENDERE Le macchine si basano su enormi quantità di dati preesistenti, che rielaborano per produrre risultati utili. Non sono capaci di "apprendere" nuove essenze o significati che non siano già in qualche modo presenti nei dati forniti. Questo limite è intrinseco alla loro natura, poiché mancano della componente spirituale e immateriale che caratterizza l'intelletto umano. Come insegna san Tommaso d'Aquino, l'intelligenza è profondamente legata alla dimensione dell'anima razionale, un dono che nessuna macchina potrà mai possedere. Questo limite filosofico ha implicazioni profonde, in particolare per coloro che temono che l'intelligenza artificiale possa un giorno superare l'intelligenza umana e controllare l'umanità. Questi timori, spesso alimentati dai transumanisti, si basano sull'idea di una "singolarità tecnologica": un punto di non ritorno in cui le macchine diventeranno autonome e supereranno le capacità umane. Ma se l'intelligenza artificiale non può astrarre, non può nemmeno raggiungere la vera intelligenza. Le macchine rimarranno strumenti, per quanto sofisticati, nelle mani dell'uomo. Esse potranno certamente accelerare i processi intellettuali, automatizzare compiti complessi e migliorare la vita quotidiana, ma non sostituiranno mai l'intelletto umano. Questo significa che il destino del mondo non dipenderà mai dalle macchine, ma dalla sapienza con cui l'uomo le utilizzerà. Tutto ricade, insomma, nelle nostre mani. Di fronte a questi scenari, l'umanità deve considerare alcune verità fondamentali. Prima di tutto, è essenziale riconoscere che la tecnologia, per quanto avanzata, non potrà mai sostituire la dignità e il valore della persona umana. Questo richiama il nostro ruolo di custodi del creato: dobbiamo usare gli strumenti tecnologici per il bene di ciascuno, senza idolatrarli, ma neanche temerli o demonizzarli in maniera irrazionale. In secondo luogo, è importante promuovere una visione della tecnologia che sia radicata nella verità e nella giustizia. Per esempio, l'intelligenza artificiale può essere impiegata in modo eticamente apprezzabile nel migliorare la diagnostica medica, facilitare la traduzione automatica per comunicare tra culture diverse, ottimizzare l'uso delle risorse agricole per ridurre lo spreco alimentare. Questi sono usi che chiunque può ben accogliere, poiché contribuiscono direttamente al bene comune. A prescindere dall'effettivo avvento di un secondo inverno dell'intelligenza artificiale, abbiamo di fronte l'opportunità per riflettere su ciò che davvero conta. In un mondo sempre più dominato dalla velocità e dalla complessità, la riscoperta della centralità dell'uomo, della sua intelligenza e della sua anima è un compito urgente.

29. jan. 2025 - 8 min
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Zuckerberg ammette che il fact checking censura

VIDEO: Intervista a Zuckerberg ➜ https://www.youtube.com/watch?v=ZMIEXN1eusM&list=PLolpIV2TSebVCcy1WwB32e6_HB-NO8WCC [https://www.youtube.com/watch?v=ZMIEXN1eusM&list=PLolpIV2TSebVCcy1WwB32e6_HB-NO8WCC] TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8046 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8046] ZUCKERBERG AMMETTE CHE IL FACT CHECKING E' CENSURA (E NOI NE SIAMO VITTIME) di Stefano Magni   Mark Zuckerberg, il fondatore e amministratore delegato di Meta (azienda proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp) ha annunciato il 7 gennaio un cambiamento radicale di politica. E di fatto ha ammesso che finora era imposta una censura, benché non ufficiale, sui suoi social network. Niente più fact checking, che verrà sostituito dalle community notes (commenti scritti da altri utenti che vogliono segnalare un articolo) e alleggerimento drastico delle regole che limitavano la pubblicazione dei contenuti, i ricorsi e la rimozione di contenuti, niente più restrizioni alla visibilità degli argomenti politici e stop allo shadow ban, cioè la pratica di rendere meno visibile quel che pubblica un utente ritenuto pericoloso. Meta cambia anche il responsabile per gli affari globali, non più il liberaldemocratico britannico Nick Klegg, ma il repubblicano americano Joel Kaplan, già consigliere di George W. Bush. Inoltre la squadra per la moderazione dei contenuti sarà trasferita dalla California al Texas, lontano dalle peggiori influenze dei media tradizionali e dei gruppi di pressione (progressisti, ndr). In particolare il fondatore di Facebook ha ammesso che i fact checkers sono risultati «troppo politicamente orientati e hanno contribuito a distruggere più fiducia di quanta non ne abbiano creata, soprattutto negli Stati Uniti». Le riforme di Zuckerberg sono state accolte da un coro di critiche da parte della stampa internazionale. E anche in Italia, dove è soprattutto Open, il quotidiano di Enrico Mentana, consulente di Facebook per il fact checking, a denunciare una possibile deriva verso il linguaggio di odio su immigrazione e gender. Né poteva essere diversamente: dal 2016, da quando le elezioni negli Usa erano state vinte da Donald Trump, i media tradizionali avevano attribuito la colpa soprattutto ai social network, colpevoli di "diffondere la disinformazione e la misinformazione" senza alcun controllo degli "editori responsabili". La stretta era arrivata nel 2019, con una pressione senza precedenti sulle aziende proprietarie dei nuovi media. Onore al vero, Zuckerberg aveva provato a difendere la libertà di espressione, opponendosi a ogni forma di censura, già allora. In un discorso tenuto alla Georgetown University, aveva infatti dichiarato: «Oggi, in tutti gli schieramenti, sembra che ci siano sempre più persone che danno la priorità all'ottenimento dei risultati politici che desiderano piuttosto che assicurarsi che tutti possano essere ascoltati». E concludeva: «Credo che dobbiamo continuare a difendere la libertà di espressione». CENSURA IMPOSTA Infine anche Zuckerberg aveva dovuto cedere, anche nel corso dell’amministrazione Trump, per colpa soprattutto della pandemia di Covid-19. Quel mix di pressioni delle autorità americane e minacce di boicottaggio degli sponsor indusse anche Zuckerberg a introdurre la sua "polizia del pensiero", inasprendo le regole del controllo dei contenuti. E cosa è successo, nella pratica? Che anche su Facebook e negli altri social network di Meta, i contenuti sono stati censurati se erano difformi alle tesi ufficiali. Esattamente come già facevano gli "editori responsabili", ma senza neppure avere la stessa responsabilità di un editore: un social network, infatti, non è un giornale, ma è una bacheca virtuale dove chiunque può appendere qualcosa e si prende la responsabilità di quel che sta mostrando. Limitare la libertà di espressione, senza la responsabilità dell’editore, è stata dunque una doppia aggressione arbitraria, per chiunque non avesse le idee "giuste". Soprattutto perché non vengono solo segnalate e represse notizie false, ma anche la "misinformazione", cioè il contesto mancante o la notizia data in modo "tendenzioso". Si tratta, fuori di metafora, dell’opinione dei giornalisti che fanno fact checking contro quella dei giornalisti autori degli articoli. Anche La Nuova Bussola Quotidiana ha subito l’effetto della censura dei fact checkers, il caso più esplicito è stato quello di un articolo di Ermes Dovico sul traffico dei feti abortiti, contestato da Open non perché falso, ma per "contesto mancante". Significativa la testimonianza su The Free Press di Margi Conklin, ex direttrice dell’edizione domenicale del New York Post. Aveva pubblicato un articolo dell’antropologo Steven Mosher (che è anche una nostra firma), uno dei primi che ipotizzavano che l’origine del Covid-19 fosse da ricercarsi nell’Istituto di Virologia di Wuhan e non nel mercato a pochi chilometri dalla sua sede. Ecco cosa è successo: «Sullo schermo avevo un data tracker che mostrava il nostro traffico web e vedevo la linea verde del nostro articolo salire e salire. Poi all'improvviso, senza motivo, la linea verde è scesa come un sasso. Nessuno leggeva o condivideva il pezzo. Era come se non fosse mai esistito. Vedendo il traffico della storia precipitare, sono rimasta sbalordita. Ho pensato: "Com'è possibile che sia successo? Come fa una storia che migliaia di persone leggono e condividono a scomparire all'improvviso? Più tardi, il redattore digitale del Post mi ha dato la risposta: il team di fact-checking di Facebook aveva segnalato il pezzo come "false informazioni"». Una censura molto interessata, secondo la stessa Conklin: «Ho scoperto che un "esperto" che ha consigliato a Facebook di censurare il pezzo aveva un grosso conflitto di interessi. La professoressa Danielle E. Anderson aveva regolarmente collaborato con i ricercatori dell'Istituto di virologia di Wuhan». ELIMINATA LA CENSURA DEI FACT CHECKERS I fact checkers non sono entità astratte o studiosi incorruttibili dediti al sapere, sono persone con propri interessi e soprattutto proprie idee politiche. Il fact checking è diventato, specialmente dopo le elezioni del 2020, sempre più un’attività politica, per censurare le voci dissenzienti, come avevamo già fatto presente su queste colonne in tempi non sospetti. Quando l’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk ha permesso di scoperchiare la politica di censura seguita da quel social network, sono emersi anche alcuni segreti su Facebook. Per esempio: le pressioni che aveva subito ad opera di funzionari della Casa Bianca all’inizio dell’amministrazione Biden, soprattutto da Rob Flaherty (futuro manager della campagna di Kamala Harris). Flaherty, con toni aggressivi e molto spesso volgari, imponeva di censurare utenti e giornali legati all’area conservatrice, minacciando gravi conseguenze per il social network. Le indagini legali nella causa Murthy contro Missouri, riguardante la "misinformazione" sul Covid-19, hanno rivelato come i dirigenti di Meta si siano piegati alle richieste dei funzionari di Biden di censurare notizie e ricerche mediche non conformiste. La Corte Suprema ha stabilito l'anno scorso che i querelanti non hanno dimostrato di essere stati censurati in risposta diretta alle pressioni del governo, ma il caso ha comunque esposto la collusione tra l'amministrazione Biden e Meta. La vittoria elettorale di Donald Trump ha sicuramente incentivato Zuckerberg a cambiare politica. Ma ormai il danno provocato è enorme. Secondo una ricerca pubblicata sull’insospettabile Corriere della Sera, il fact checking ha rafforzato la polarizzazione e aumentato il processo di tribalizzazione del pubblico, con gruppi sempre più chiusi nelle loro convinzioni, nelle loro bolle informative. «Eppure, nonostante queste evidenze, milioni di dollari sono stati spesi in soluzioni che chiunque con un minimo di onestà intellettuale avrebbe riconosciuto come fallimentari». In America stanno liberandosi di questo sistema. Ma in Europa? Il momento della liberazione è ancora lontano. Nell’Ue infatti vige il Digital Services Act che di fatto impone il controllo dei contenuti e la moderazione (leggasi: censura), per legge. Nota di BastaBugie: Daniele Ciacci nell'articolo seguente dal titolo "Zuckerberg: così è calata la censura sui social" parla dell'intervista a Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Meta (Facebook, Instagram, Whatsapp), che ha confidato quanta pressione avesse ricevuto dall'amministrazione Biden per censurare contenuti, soprattutto sui vaccini. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 gennaio 2025: Durante un’intervista fiume con Joe Rogan nel celebre podcast The Joe Rogan Experience, Mark Zuckerberg ha affrontato temi cruciali legati alla gestione dei contenuti su Meta, le tensioni con l’amministrazione Biden e il futuro tecnologico della sua azienda. Dalle pressioni governative per censurare i contenuti sui vaccini COVID-19 fino alla controversia sulla fine del programma di fact-checking su Facebook e Instagram, l’intervista offre uno sguardo dietro le quinte delle decisioni più criticate di Meta negli ultimi anni. Censura e pressioni dall’amministrazione Biden. Una delle dichiarazioni più rilevanti di Zuckerberg riguarda le pressioni esercitate dall’amministrazione Biden per censurare informazioni sui vaccini COVID-19. Zuckerberg ha affermato che funzionari governativi non solo suggerivano, ma pretendevano la rimozione di determinati contenuti. In alcuni casi, queste richieste includevano post basati su dati reali rigu

15. jan. 2025 - 14 min
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Presepi vietati, sintomo di un'Europa senz'anima

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8029 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8029] PRESEPI VIETATI, SINTOMO DI UN'EUROPA SENZ'ANIMA di Manuela Antonacci   Abituati o meglio rassegnati ad una Francia laicista senza speranza, un bel miracolo di Natale ha spazzato via, stavolta e pare - in questa felice eccezione - non solo una volta, l'eco solito delle ideologie di stampo illuminista. Stiamo parlando dell'iniziativa che, anche quest'anno, continua a Beaucaire, dove il Municipio ha allestito un presepe in linea con una tradizione portata avanti, ormai, da ben 9 secoli. Ma, si sa, c'è sempre chi si sente "offeso" da qualche simbolo cristiano e stavolta, niente meno che da Gesù Bambino che nella sua mangiatoia, ci chiediamo quale tipo di sensibilità sarà andato stavolta ad urtare. E deve averla fatta grossa, perché è addirittura dal 2014 che la Lega dei Diritti Umani (LDH) si batte ogni anno - 2024 compreso - per la messa al bando del presepe nel municipio, arrivando a trascinare in tribunale, questa volta, Nelson Chaudon, il sindaco di Beaucaire che non ha ceduto alle intimidazioni e ha difeso, impavido, tale tradizione. LE TRADIZIONI LOCALI E L'IDENTITÀ CULTURALE L'LDH, comunque, ha pubblicato un comunicato stampa, il 12 dicembre, per specificare l'obiettivo dell'azione legale. Assicura, cioè, che non si tratta di vietare il Natale. La sua argomentazione principale si basa sulla legge del 1905, che promulga la separazione tra Chiesa e Stato. Ricorda la necessità di una completa «neutralità delle autorità pubbliche nei confronti delle religioni» e deplora «la rinnovata inerzia di alcuni prefetti in questa materia». Nel comunicato, l'LDH accusa alcuni funzionari eletti di «privilegiare la loro ideologia a scapito dei principi repubblicani installando presepi di Natale nei municipi». L'associazione condanna, inoltre, il fatto che questi sindaci «mettano in evidenza le origini cristiane della Francia». Ma, nonostante i vari tentativi di censura del presepe perpetratisi negli anni, i sindaci che si sono succeduti, Julien Sanchez (RN) e Nelson Chaudon (RN), non hanno ceduto. Questo mercoledì, 18 dicembre, il sindaco di Beaucaire, Nelson Chaudon, ha difeso con fermezza la presenza dei presepi di Natale nel suo municipio durante il suo intervento davanti al tribunale amministrativo di Nîmes. Accompagnato da diversi sostenitori, tra cui il deputato del RN Yoann Gillet, ha ribadito il suo impegno per la conservazione delle tradizioni locali e dell'identità culturale della Francia. Semplici, schiette e inequivocabili le sue dichiarazioni: «È fuori questione cedere un grammo di cultura, di tradizione, di ciò che costituisce la nostra identità a coloro che vorrebbero cancellarla. Beaucaire difenderà sempre ciò che ci è caro». LA SITUAZIONE IN ITALIA Di segno opposto ciò che è accaduto in un ospedale piemontese, dove una coordinatrice infermieristica ha ordinato di smontare il presepe allestito nel reparto durante il weekend. La donna ha motivato il suo gesto con la solita scusa di voler rispettare la sensibilità, in questo caso, dei pazienti non religiosi o di diverse fedi. Il punto, però, è che non si tratta solo di un problema di fede ma, come dice il sindaco, di cultura, cioè non si fa una cultura, un paese, l'Europa, se l'Occidente dimentica quali sono i riti e le tradizioni culturali che l'hanno identificato, ovvero se non c'è un passato condiviso. Per chi ha fede, dunque, il presepe è il simbolo della discesa di Dio, ma anche per chi non ha fede ed è un europeo, un occidentale, ha un significato e una sua importanza, perché ne va, appunto di ciò che cementa una comunità, come ha ben chiarito il sindaco di Beaucaire. Per il caso italiano, poi, togliere un presepe ha meno senso che mai, perché quel bambino è venuto, in realtà, semplicemente per prendere su di sé le sofferenze degli uomini e, anche per chi non crede e nel caso italiano si trova in ospedale, resta un messaggio molto importante. La sua censura, in questo caso, rispecchia più che altro il punto di vista personalissimo della caposala che, forse, proprio in nome del rispetto che millanta, dovrebbe lasciare anche agli altri la possibilità di non credere o di professare altro sì (e su questo il presepe non ha nessun potere, né influenza) ma anche di credere liberamente in ciò in cui si sceglie di credere o culturalmente di rispecchiarsi.

24. des. 2024 - 5 min
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La bufala del genocidio a Gaza

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8000 [https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8000] LA BUFALA DEL GENOCIDIO DI ISRAELE A GAZA SMASCHERATA ANCHE DALL'ONU di Stefano Magni   Ipnotizzati dalle elezioni americane e dalla scelta dei segretari nella prossima amministrazione Trump, rischiamo di perderci la notizia più importante sul Medio Oriente da un anno a questa parte. Cosa è successo? Non sui campi di battaglia di Gaza e del Libano, ma nelle sedi delle Nazioni Unite, è stata di colpo ribaltata la narrazione prevalente del conflitto mediorientale: i morti palestinesi non sono 42.200, ma 8.119, ultima stima accertata riguardo alle operazioni dal 1 novembre 2023 al 30 aprile 2024. Lo si legge nel rapporto pubblicato dall'Alto Commissariato per i Diritti Umani dell'Onu, lo scorso 8 novembre. La stima è stata elaborata con le dovute cautele, perché si parla pur sempre di una guerra in corso e di una zona, la Striscia di Gaza, che è difficilmente accessibile in modo sicuro da ispettori civili e riguarda i primi sei mesi di guerra. Quindi va presa con le molle. Ma la differenza fra la stima delle Nazioni Unite (8119 morti per i primi sei mesi di guerra) e quella diffusa a ottobre dal "Ministero della Sanità" palestinese (42.200 morti) è troppo eclatante per essere ignorata. Da notare che il Sud Africa, denunciando alla Corte Internazionale di Giustizia per "genocidio" Israele, nel gennaio scorso (otto mesi prima della pubblicazione del rapporto) parlava di 25.700 vittime dell'azione militare israeliana. E un mese fa, il 14 ottobre, lo stesso segretario generale dell'Onu, senza attendere i risultati di un'indagine condotta dall'Onu stessa, parlava in pubblico di 42.200 vittime dell'azione israeliana a Gaza, riportando pari-pari i numeri diffusi dalla propaganda… pardon, dal "Ministero della Sanità" palestinese. SILENZIO E MISINFORMAZIONE Si parla di morti, a cui va tutto il nostro rispetto e come rileva giustamente Iuri Maria Prado, sul Riformista: "Si tratta, evidentemente, di una materia delicatissima e da affrontare con il dovuto tatto. Perché neppure 8 mila, ma già solo 8 morti sono troppi, sempre e comunque. È una necessità di pietoso riserbo, tuttavia, che dovrebbe comandare la parola di tutti, ma di cui non sente la pressione chi da un anno a questa parte largheggia nella distribuzione propagandistica di quei numeri incontrollati soltanto per fare chiasso, per rimestare nella carne della popolazione sofferente e agitare poi le mani sanguinanti a denuncia dello sterminio." Se le indagini dell'Onu sul campo sono difficili e le ultime stime sono da prendere con le molle, perché tutti, persino Guterres stesso, con grande sicumera, hanno deciso di diffondere le cifre della "Sanità" palestinese? E perché, neppure di fronte a questo rapporto, la stragrande maggioranza dei media italiani e internazionali non si pone neppure il dubbio di aver detto il falso sul numero dei morti a Gaza? Perché, detto per inciso, la reazione dei media italiani, dopo la pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite, è stata peggiore del silenzio: andate su Google, cercate la notizia e troverete solo che "il 70% delle vittime sono donne e bambini, secondo il rapporto dell'Alto Commissariato Onu per i diritti umani". I maniaci della correttezza dell'informazione, la chiamerebbero: misinformazione. Cioè l'uso polemico e tendenzioso di una notizia che, benché vera, è estrapolata dal suo contesto. CAMPAGNA CONTRO ISRAELE Non è paranoia se affermiamo che è in corso una campagna di mostrificazione di Israele. Senza tirare in ballo l'antisemitismo, che comunque è ancora vivo e diffuso, la causa è l'ideologia anticolonialista fuori tempo massimo che identifica in Israele (paese nato con una guerra di indipendenza) un residuo di colonialismo occidentale e "bianco". Israele, in tempo di pace, viene accusato di razzismo e apartheid, condanne che l'Onu ha cercato addirittura di formalizzare, più volte nel passato recente, come durante la Conferenza contro il razzismo di Durban nel 2001. In tempo di guerra, Israele viene accusato di genocidio. E non è la prima volta che succede, perché anche durante la Seconda Intifadah (2000-2005) veniva usata l'etichetta "genocidio" per condannare le operazioni antiterrorismo, anche in quel caso sparando cifre inverosimili delle vittime civili palestinesi, poi tutte regolarmente smentite. Singolare fu il caso del raid israeliano a Jenin nel 2002: "500 morti civili" che poi si rivelarono essere 48, di cui appena 5 erano civili. Non si tratta di un lavoro da macabri contabili delle disgrazie altrui: sparare una cifra piuttosto che un'altra fa la differenza fra la vita e la morte delle comunità ebraiche nel mondo, soprattutto in Europa, dove subiscono la pressione delle comunità islamiche. Se gli israeliani, in un anno, hanno provocato 42.200 morti a Gaza, con una percentuale altissima di civili, quasi tutti bambini, allora stanno compiendo un genocidio. Allora è "normale" che ad Amsterdam vengano aggrediti per strada. Diventa "normale" che un albergo nelle Dolomiti non accetti clienti israeliani. È "comprensibile" che collettivi studenteschi occupino le università e pretendano l'interruzione di ogni rapporto e collaborazione con le istituzioni di uno Stato "genocida". Diventano "giustificate" le aggressioni a chiunque porti la kippah. Perché c'è un "genocidio" e allora, si sa, c'è qualcuno che si può arrabbiare nei confronti di chi fa parte dello stesso popolo "genocida". Ma il punto è che: il genocidio non c'è. A Gaza è in corso una guerra, non uno sterminio sistematico. In compenso, le cifre mostruose (in tutti i sensi) sparate a reti unificate sulle vittime civili a Gaza, provocano anche una colpevole rimozione: quella delle 1.200 vittime israeliane del pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023. Di fronte al "genocidio di Gaza" le vittime di un atto genocida vero, gli ebrei di Sderot e dei kibbutz del Negev occidentale, vengono cancellati dalla memoria collettiva con un atto di negazionismo in tempo reale.

26. nov. 2024 - 8 min
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